Chi scrive ha una storia lavorativa che nasce nel 1996. Prima semplice collaboratore, poi impiegato, infine capoufficio in una piccola azienda.
Ma la mia esperienza lavorativa ormai è alle spalle, il mobbing che ho subìto ha avuto la conseguenza di farmi perdere il posto di lavoro, ed anche la salute.
Questo blog rappresenta soprattutto un diario, molto parziale, di ciò che mi è capitato.
In esso potrete trovare anche notizie interessanti, informazioni utili, consigli, ma nè questo blog nè altri possono sostituire il supporto di un avvocato specializzato in diritto del lavoro, oppure di uno psicologo. Il mio invito a quanti subiscono una situazione di disagio sul posto di lavoro è comunque quello innanzitutto di confrontarsi con altre persone che soffrono o hanno sofferto lo stesso problema: oggi lo si può fare molto facilmente anche attraverso Facebook, dove esistono - e sono purtroppo molto frequentati - gruppi che affrontano questa tematica.
Invito tutti i lettori a lasciare un commento, anche in forma anonima: più se ne parla, meglio è!

venerdì 29 aprile 2011

Quando si raggiunge il limite


Poco fa dicevo a mia moglie: “Esattamente un anno fa ero un’altra persona. Chi avrebbe mai pensato che sarebbe accaduto tutto questo?”
Effettivamente in un anno ho quasi perso il mio lavoro, ho scoperto quanto false fossero alcune persone attorno a me, ho compromesso seriamente la mia salute. Se a questo si aggiunge una situazione economica non rosea, penso si possa concludere che il fatidico 2012 sia, per quanto mi riguarda, già abbondantemente preannunciato. La ruota gira, si dice… ma non certo la mia.
La cosa paradossale è che non ho fatto nulla per “meritare” tutto questo, al contrario il mio unico demerito è stato solo quello di dare sempre il massimo, di avere un’etica da rispettare, di pensare che la cosa più conveniente per me non fosse diversa da quella più giusta per tutti. Beh, è stata una bella lezione! Perché ho avuto modo di conoscere le due categorie in cui si divide il genere umano, i due mondi alternativi, i due opposti sistemi di valori che pensavo realmente fossero tali solo in letteratura… Ho visto coi miei occhi il bene ed il male, la giustizia e l’opportunismo, la generosità ed il miope e gretto interesse personale.
Il 14 aprile è stato il giorno in cui il mio corpo ha dato il primo esito. Al risveglio, mi sono reso conto di non vedere più da un occhio, il destro. All’inizio me lo sono stropicciato, pensavo di stare ancora dormendo. Sono andato in bagno, ho acceso la luce, ho guardato fisso le lampadine accese… e mi sono reso conto che non era un brutto sogno: non ci vedevo più.
Posso assicurare che la prima sensazione è stata di terrore: realizzare di aver perso la funzionalità di un organo, per quanto non vitale, ti rende consapevole che non sei più il giovanotto di un tempo. Capisci che tutta la violenza psicologica che stai subendo ha dei risvolti anche sul fisico, capisci che c’è un limite, che hai un limite. Poi ti fai ottimista: a tutto c’è un rimedio, non sei morto. Forse qualcuno l’avrebbe preferito, ma ti tocca rimandargli questa soddisfazione.
Pensavo inizialmente ad un distacco di retina. Giunto al pronto soccorso immediatamente è apparso chiaro che non era così. Dopo poche ore il responso: trombosi retinica. Ricovero, flebo immediate, stravolgimento totale della vita familiare. I valori del sangue hanno detto poi che mi è andata bene, sono un soggetto a rischio infarto ed ictus, ora potrei non essere qui a raccontare come è andata.
Chissà, quando scrivevo di sentire un peso sui polmoni forse c’era un nesso con questa improvvisa malattia. Quando scrivevo di star male, di vivere male, forse tutto si stava preparando.
Le immediate cure mi hanno fatto presto riacquisire la vista. Lentamente, ho cominciato a rivedere sagome, luci, il muro grigio scuro che vedevo ha cominciato a frantumarsi lasciando intravedere ciò che c’era oltre. Dopo tre giorni avevo riacquisito il 90% di ciò che avevo perso. Ma quel 10% che manca lo sto recuperando con estrema lentezza. I medici mi hanno fatto domande sul mio stile di vita: ma io non fumo, non bevo, mangio sano, faccio sport, vado a letto presto. L’unica cosa che non va nella mia vita è il lavoro, non c’è altro.
E’ inutile dire che i miei colleghi d’ufficio, pur informati sul fatto che il mio non fosse un semplice raffreddore, non si sono fatti minimamente sentire. Il mio “capo” il giorno di Pasqua ha avuto l’ardire di chiedermi come sto e di farmi gli auguri, tramite sms. Al contrario, ho avuto il grande conforto di avere attorno a me tante persone, la famiglia, tutti i parenti, amici d’infanzia che non sentivo da anni, nuove sorprendenti amicizie che si sono strette a me in un abbraccio virtuale sincero e disinteressato. In alcuni momenti mi son realmente commosso, e non finirò mai di dire grazie a chi mi ha dimostrato in modo così straordinariamente bello la propria vicinanza.
Dopo una settimana sono stato dimesso dall’ospedale, ed ora sono in convalescenza. Lunedì dovrò riprendere a lavorare, anche se mi aspetta una terapia lunga, tanti esami e visite mediche.
Ma ci sarà mai qualcuno che paga per questo? Sarò mai risarcito? E se nulla cambierà, il mio fisico, la prossima volta, sarà ancora in grado di reagire?

sabato 9 aprile 2011

Come avvoltoi


Sono come avvoltoi. Ormai non attaccano più: aspettano. Sanno benissimo che è solo questione di tempo: prima o poi dovrò cercare di recuperare la mia vita, andarmene, trovare un altro lavoro, altra gente, ritrovare il piacere di fare quello che so fare, di creare, di avere ambizioni… E’in effetti quello che voglio con tutte le mie forze, ma è anche qualcosa di molto difficile alla mia età, nel mio settore. Quindi la mia sofferenza è amplificata dalla disperazione di non avere alternative, dal terrore di perdere la partita senza avere la possibilità di ricostruire ciò che ho perso.
Quello che non smetto mai di chiedermi è: perché accade tutto questo? Perché l’animo umano è capace di partorire cattiverie simili? Come fanno a stare in pace con la loro coscienza?
In realtà non smetto, nonostante l’età, di meravigliarmi di quanto io continui ad essere sostanzialmente un ingenuo. Così a volte mi illudo che qualcosa stia cambiando, quando vedo qualcuno di loro che si avvicina per parlarmi, non manifestandomi la consueta ostilità... ma è solo un attimo, poi tutto torna come prima, peggio di prima. Come gli avvoltoi appunto, che si levano in volo e si avvicinano alla loro preda, ma vedendola ancora viva e reattiva se ne allontanano, tornando ad aspettare.
L’errore più grande è credere di avere intorno delle persone normali, delle persone che magari stanno sbagliando, di pensare possibile recuperare un rapporto con esse. E’ un errore determinato e giustificato dalla necessità di voler uscire da una situazione di emarginazione, ma rimane un errore. Perché una persona capace di fare tanto male al prossimo, senza provare rimorsi, non è una persona. Quindi è impossibile dialogare, trovare punti in comune. Cercare di farlo significa solo esporsi ad ulteriori rischi.
Il modo migliore per difendersi è quindi identificarli per ciò che realmente sono, degli avvoltoi. E dagli avvoltoi c’è solo un modo per difendersi: non mostrarsi mai deboli. Lo constato quando li guardo dritti negli occhi: abbassano subito lo sguardo e cominciano a parlare fra di loro, confermando quindi che la loro forza sta tutta nell’essere branco.