Chi scrive ha una storia lavorativa che nasce nel 1996. Prima semplice collaboratore, poi impiegato, infine capoufficio in una piccola azienda.
Ma la mia esperienza lavorativa ormai è alle spalle, il mobbing che ho subìto ha avuto la conseguenza di farmi perdere il posto di lavoro, ed anche la salute.
Questo blog rappresenta soprattutto un diario, molto parziale, di ciò che mi è capitato.
In esso potrete trovare anche notizie interessanti, informazioni utili, consigli, ma nè questo blog nè altri possono sostituire il supporto di un avvocato specializzato in diritto del lavoro, oppure di uno psicologo. Il mio invito a quanti subiscono una situazione di disagio sul posto di lavoro è comunque quello innanzitutto di confrontarsi con altre persone che soffrono o hanno sofferto lo stesso problema: oggi lo si può fare molto facilmente anche attraverso Facebook, dove esistono - e sono purtroppo molto frequentati - gruppi che affrontano questa tematica.
Invito tutti i lettori a lasciare un commento, anche in forma anonima: più se ne parla, meglio è!

giovedì 31 marzo 2011

Cassazione: illegittimo il licenziamento del lavoratore che durante la malattia esce di casa su prescrizione del medico

Non è licenziabile il lavoratore che, durante un periodo di malattia, esce di casa, a piedi e in auto per le normali incombenze della vita quotidiana, seguendo le prescrizioni del medico curante. E' quanto affermato dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 6375 del 21 marzo 2011, ha respinto il ricorso di un un'azienda - che aveva fatto pedinare e aveva poi licenziato un dipendente - avverso la sentenza della Corte d'appello di Torino. Questa aveva infatti dichiarato l'illegittimità del licenziamento con reintegrazione e risarcimento danni per il lavoratore. La Suprema Corte ha confermato la decisione dei Giudici d'appello in quanto "sorretta da una motivazione adeguata e logica, oltre che immune da errori di diritto circa la mancanza di prova di una violazione disciplinare a fondamento del licenziamento intimato"; ha inoltre precisato come nessun addebito poteva essere mosso al lavoratore adeguatosi alle indicazioni del suo medico curante, che gli aveva prescritto di "compiere del movimento e, in particolare, di camminare". Gli Ermellini, affermando che riprendere la vita normale non ritarda la guarigione, hanno sottolineato inoltre che, dalle indagini investigative, non era emerso lo svolgimento da parte del dipendente di altre attività lavorative bensì "la ripresa di alcune attività della vita privata cioè di attività di una gravosità di cui non è evidente la comparabilità a quella di un'attività lavorativa a tempo pieno".

Il mio antidoto al veleno del mobbing

E’ da un po’ che non scrivo di me, di come continuo a lavorare in condizioni di assoluta emarginazione e demansionamento.
Vivo malissimo: perché io voglio lavorare, voglio produrre, voglio che in cambio del mio stipendio l’azienda che mi paga possa giovarsi del mio contributo. Vorrei che le cose che faccio fossero chiare, riconoscibili, riconducibili alle mie capacità. Mi piacerebbe tornare a casa la sera ed essere magari stanco, ma orgoglioso per ciò che ho realizzato nel mio lavoro. Come un tempo accadeva di frequente.
Invece non è così. Torno sì stanco, ma stanco di un lavoro ripetitivo, stupido, lontano anni luce da quello che era il mio ruolo: sono passati pochi mesi, ma mi sembra realmente di parlare di un altro uomo. Ciò che sono attualmente: una persona che ha smarrito il suo ottimismo, il suo sorriso, la voglia di fare, di vivere. Una persona che non dorme più, che vive le notti negli incubi, che fa spaventare le persone che ha attorno.
Eppure resisto. Il mio mobbing è una dose di veleno quotidiana, ogni giorno piccole quantità che nel tempo si accumulano. Un veleno che da una parte mi costringe nella mia debolezza, dall’altra aumenta la forza di chi ormai, anche inconsapevolmente, contribuisce a rendere peggiore la mia condizione. Chi fino a poco tempo fa necessitava del mio aiuto, ora non solo mi ignora, ma si comporta come se davvero non esistessi. Il trattamento che mi viene riservato diviene un fatto normale, accettato da tutti. Il carnefice dentro di sé esulta, forse. E il popolo degli struzzi preferisce non guardare.
Eppure resisto, dicevo. Mi consola pensare che sono migliore di loro: quando  in passato ad essere colpiti sono stati altri, io non ho fatto lo struzzo. Non ho esitato un attimo a comportarmi da essere umano. Ma resisto soprattutto per un altro motivo: perché il veleno che mi viene iniettato è compensato da un antidoto molto potente. Una medicina che, di tanto in tanto, mi fa addirittura rivedere nello specchio ciò che ero. La mia medicina sono i miei amici, per quello che mi danno, e per quel poco che io riesco a dar loro. Essere ascoltati, ascoltare... trascorrere il tempo insieme e capire che sono capace, siamo capaci, di provare ancora delle belle sensazioni. In attesa che l'incubo finisca, perché, sono certo, dovrà finire.
Grazie.

venerdì 18 marzo 2011

MALATTA PROFESSIONALE A CAUSA DEL MOBBING: L'INAIL DEVE RISARCIRE

Il mobbing è causa di malattia professionale: a sostenerlo con una sua sentenza, una delle prime in materia, è stato il giudice del lavoro di Tortona, Tiziana Paolillo, accogliendo il ricorso di Stefano Ena e Massimo Lasagna, legali di una tortonese oggi cinquantenne e che dal 1992 al 2005, quando si è licenziata, ha lavorato in una multinazionale straniera, con stabilimento a Carbonara Scrivia, specializzata nella produzione di piatti, bicchieri, posate usa e getta. Di conseguenza l`Inail, chiamata in causa, le deve corrispondere circa 20.000 euro come risarcimento del danno biologico subito: il giudice, infatti, al termine di una complessa istruttoria e in seguito a una consulenza medico legale, ha riconosciuto alla donna un danno per malattia professionale del dieci per cento. Assunta come operaia, la tortonese, in seguito a un infortunio sul lavoro che non le consentiva di svolgere l`originario lavoro, ha continuato ad essere spostata da un settore all`altro dell`azienda, posta in stato di isolamento in un`area definita dei «parassiti» con l`ingiunzione finale, messa per iscritto, di stare seduta all`ingresso della ditta in attesa di non meglio definiti ordini, che mai le sono stati rivolti. Quei comportamenti le hanno causato una serie di disturbi: ansia, pianti, insonnia, timore continuo di sbagliare anche solo nel rivolgere un saluto, fino a quando si è licenziata e ha chiesto all`Inail il riconoscimento della malattia professionale con conseguente risarcimento. L`Istituto si è opposto, sostenendo che la patologia non risultava legata all`attività lavorativa, ma il giudice è stato di parere contrario. Ora i legali della donna intendono fare causa all`azienda per ottenere il risarcimento degli ulteriori danni, quelli cagionati dal mobbing. 

Fonte: INAIL

martedì 15 marzo 2011

Mobbing sul lavoro, come difendersi

La Dott.ssa Francesca Di Battista, Psicologa del Lavoro, intervistata da PMI Servizi ci informa su cosa è  il mobbingcome difendersi e quale il rapporto tra stress lavoro correlato e mobbing.

 

Che cos’è il mobbing?

La parola “mobbing” deriva dal verbo inglese to mob, che significa accerchiare, circondare, assediare, attaccare, assalire in massa qualcosa o a qualcuno. L’etologo Konrad Lorenz utilizza questa espressione nei suoi studi per indicare il comportamento di alcuni animali della stessa specie che si coalizzano contro un membro del gruppo attaccandolo ed escludendolo dalla comunità di appartenenza.
Negli anni Ottanta, lo psichiatra e psicologo del lavoro tedesco, svedese d’adozione, Heinz Leymann applica per la prima volta il termine coniato da Lorenz all’ambito lavorativo in seguito ad aver osservato alcuni operai e impiegati svedesi vessati psicologicamente sul luogo di lavoro. Egli considera il conflitto il presupposto fondamentale per la nascita del mobbing. Poiché il conflitto è caratterizzato dalla divergenza di opinioni ed ogni parte è convinta dell’esattezza delle proprie e non intende scendere a compromessi, è facile intuire come dal conflitto al mobbing il passo sia abbastanza breve. Ege evidenzia, invece, come tale fenomeno consista essenzialmente in un problema di comunicazione, in un conflitto routinario e in un atteggiamento ostile nei confronti di una o più persone dovuti a sentimenti di rivalsa da parte del mobber verso il mobbizzato. L’Associazione tedesca contro lo Stress Psico-sociale ed il mobbing, fondata nel 1993, ha fornito una definizione ufficiale del fenomeno del mobbing, secondo la quale esso consisterebbe in una “comunicazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti nella quale la persona attaccata viene posta in una posizione di debolezza e aggredita direttamente o/e per lungo tempo con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro”. Questa definizione sottolinea gli aspetti legati a una forma negativa di comunicazione tipica dei luoghi di lavoro che prevedono la convivenza obbligatoria e forzata con soggetti non scelti, ma imposti dall’organizzazione lavorativa. Negli ultimi anni il termine mobbing viene utilizzato abitualmente per indicare quelle forme di violenza psicologica attuata sul posto di lavoro, caratterizzate da comportamenti violenti e oppressori ripetuti nel tempo.
Tra le condotte riconducibili al fenomeno del mobbing si identificano: isolamento, critica,  diffamazione, derisione, affidamento di compiti declassanti, spostamento da un ufficio ad un altro, esclusione dalla comunicazione organizzativa, violenza e molestie sessuali.

 

Come identificarlo?

Si possono individuare tre criteri basilari che rappresentano gli elementi identificativi del mobbing:
  1. Intenzionalità dell’attività vessatoria e percezione del mobbing;
  2. Carattere asimmetrico della relazione di potere tra l’aggressore (mobber) e la vittima (mobbizzato);
  3. Frequenza e durata delle azioni negative.
Nell’esperienza negativa del mobbing, le vittime sembrano attribuire la causa della loro sofferenza a fattori esterni come ad esempio la personalità sadica dell’aggressore, e dunque la sua effettiva intenzione nel colpirle. Considerando però che il mobbing consiste nel susseguirsi di azioni negative che permangono nel tempo, è difficile pensare che non vi sia l’effettiva intenzione dell’aggressore di creare nocumento.
Per quanto concerne la relazione che intercorre tra gli attori del mobbing è stata posta molta enfasi sulla relazione tra superiore e subordinato considerando le situazioni in cui la vittima percepisce di essere inferiore all’aggressore e di non potersi difendere. Il potere, cioè la capacità di produrre un cambiamento negli altri, è una condizione fondamentale nel funzionamento dell’organizzazione e conseguenti disuguaglianze di potere sono inevitabili.
Riguardo alla frequenza del fenomeno, condizioni di conflitto “momentanee” non sono indicative, ma situazioni in cui i comportamenti vessatori sono all’ordine del giorno e di significativa intensità, determinano un’insostenibilità psicologica che può condurre ad un cedimento psico-fisico del soggetto mobbizzato.

 

Quali sono le cause?

Tra le determinanti del fenomeno del mobbing si individuano tre aree di indagine: personalità dei soggetti interessati, dinamiche di gruppo contesto organizzativo.
Considerando i tratti di personalità si presuppone che le persone siano a priori destinate ad essere dei mobber o dei mobbizzati sulla base delle proprie caratteristiche, indipendentemente dalla specifica situazione. In particolare, le principali categorie di vittime più frequentemente riscontrate dalla Clinica del Lavoro di Milano sono:
  • “i creativi”. Propositivi, innovatori, brillanti, spiccano nel proprio gruppo di lavoro caratterizzato da  valori medi di capacità. Essi possono divenire obiettivi da colpire da parte dei colleghi (mobbing emozionale o orizzontale);
  • “gli onesti”. Soggetti operanti in gruppi molto uniti in cui chi non è complice può essere escluso o emarginato dagli altri (fenomeno tipico nelle manifestazioni di disonestà sul posto di lavoro);
  • “i disabili”. Persone deboli e facilmente escluse e ghettizzate.
  • “i superflui”. Categoria che si costituisce in occasione di fusioni tra aziende, accorpamenti, riorganizzazioni. In questi casi, il mobbing si configura come una strategia di “alleggerimento” del personale (mobbing pianificato dai vertici aziendali)
Un’altra tipologia di soggetti divenuta attualmente “a rischio” sono coloro che hanno un’elevata anzianità lavorativa e, pertanto, hanno un costo più elevato rispetto a risorse più giovani.
Per quanto concerne le dinamiche di gruppo è argomento controverso stabilire quali possano essere i fattori scatenanti dell’emarginazione. L’elemento considerato il più probabile consiste nella diversità del soggetto emarginato dal resto del gruppo. Accade, infatti, che nel contesto lavorativo si costituisca una piccola comunità coesa e chi si discosta da questa può esserne escluso. La figura considerata “il capro espiatorio” possiede perciò caratteristiche comportamentali “devianti” rispetto al gruppo, tali da considerarlo un bersaglio, una “valvola di sfogo”.
Riguardo al fattore organizzativo, invece, le principali determinanti del mobbing riscontrate sono: comportamento inefficace della leadership, carenze nell’organizzazione del lavoro, cattivo clima aziendale. Una leadership autoritaria e accentratrice, fondata sulla critica, sulla supervisione esasperata ed orientata ad una logica di “premi e punizioni”, può favorire un clima sociale poco sereno caratterizzato da competizione e invidia. La leadership dovrebbe, infatti, ricoprire un ruolo di supervisione nel controllare che siano rispettate le regole in vigore nell’ambiente di lavoro sorvegliando, riconoscendo e risolvendo tempestivamente i conflitti. Non ottemperando a questo dovere promuove volutamente o inconsapevolmente l’escalation del conflitto nella direzione del mobbing. Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, l’Inail (allegato 1 alla circ. n. 71/2003) riconosce quadri patologici ricollegabili a “fattori di costrittività” dell’organizzazione, rappresentati da:
  • Demansionamento, mancanza di adeguati strumenti di lavoro, trasferimenti ingiustificati ripetuti;
  • Attribuzione di compiti declassanti rispetto al proprio ruolo professionale;
  • Prolungata attribuzione di compiti eccessivi che il lavoratore non è in grado di svolgere anche in relazione ad eventuali handicap psico-fisici;
  • Difficoltà o impossibilità all’accesso di notizie;
  • Fornitura di informazioni inadeguate all’ordinaria attività di lavoro;
  • Ripetuta estromissione del lavoratore rispetto ad iniziative qualificanti, formative e di aggiornamento professionale;
  • Forme di controllo esasperate e superflue.

 

Come difendersi?

La vittima di mobbing mette in atto dei tentativi di fronteggiamento (coping) per difendersi dagli attacchi subiti. Tali strategie di coping attuate dai mobbizzati per affrontare le situazioni di disagio vissute sul lavoro sono:
  • Manifestazione di una forte riduzione del livello di commitment nei confronti del proprio lavoro (abbandono);
  • Strategie di problem solving attivo quali il confronto con i diretti responsabili del loro disagio, o ricerca di conforto e appoggio da colleghi e/o familiari (dialogo);
  • Strategie di problem solving passivo, proseguendo con il lavoro con devozione verso l’organizzazione sperando nell’aiuto del management (fedeltà);
  • Abbandono del posto di lavoro (uscita).
Tali strategie sono tendenzialmente messe in atto con questa successione, poiché le vittime intraprendono un complesso percorso di tentativi diversi per risolvere il problema, dove la scelta di abbandonare il posto di lavoro rappresenta solo “l’ultima spiaggia”.

 

Qual è il rapporto tra stress lavoro correlato e mobbing?

Il tema specifico delle molestie e della violenza tipiche del mobbing sul posto di lavoro non è oggetto dell’accordo europeo sullo stress lavoro correlato siglato dal sindacato europeo e dalle associazioni datoriali europee in data 8 Ottobre 2004 (recepito in Italia il 9 Giugno 2008). Tuttavia appare evidente che molte delle dinamiche messe in atto per esercitare maltrattamenti morali sono analoghe ai fattori di stress presenti in organizzazioni inadeguate, anche senza una precisa volontarietà lesiva.
Le condizioni lavorative che causano stress lavoro correlato sono in grado di rendere l’ambiente di lavoro un focolaio in cui possono prender vita fenomeni di mobbing. Di conseguenza, valutare e tenere sotto controllo tutti i possibili stressors legati al contesto organizzativo ed ai rapporti interpersonali sul lavoro, è fondamentale per creare un ambiente che scoraggi l’esercizio di forme di violenza di natura volontaria.

lunedì 14 marzo 2011

Perché serve una legge che chiarisca il fenomeno mobbing?

Per sei mesi una lavoratrice è stata sottoposta ad una lunga serie di vessazioni: dal trasferimento di sede, alla sottrazione di un progetto di rilevanza europeo sino alla collocazione in una stanza senza finestre, privata di una propria scrivania ed un proprio armadio. Il tutto condito dalle «battute grossolane» che la lavoratrice si sentiva ripetere dal suo capo «Mi hai rotto i cog…, hai capito brutta stro.. devi fare quello che ti dico io»; oppure rivolto a colleghi «E’ inutile che ti inginocchi davanti a lei tanto non te la da». Naturalmente in una situazione del genere, dinanzi a ripetute molestie morali, a tutela della propria dignità la lavoratrice chiese giustizia ed è evidente che si parli di MOBBING in quanto c’è tutto. In risposta il Tribunale di primo grado e la Corte d’Appello di Torino avevano dato parere negativo sostenendo che i sei mesi di vessazioni erano un tempo “non sufficiente a concretizzare il mobbing”.  La lavoratrice al fine di veder riconosciuti i propri sacrosanti diritti si rivolse alla Corte di Cassazione la quale ha sentenziato: (sentenza 22858/08) ” Se è vero, infatti, che il mobbing non può realizzarsi attraverso una condotta istantanea , è anche vero che il periodo di sei mesi è più che sufficiente per integrare l’ idoneità lesiva della condotta nel tempo.”  Da subito, a caratteri cubitali, appare sulla stampa la notizia: Cassazione, 6 mesi di vessazioni ed è mobbing Da subito lo sportello mobbing INAS CISL ha iniziato a ricevere domande del tipo se 5 mesi o 4 mesi ecc. possono considerarsi validi per il mobbing? Per avere una risposta valida è bene fare chiarezza, questa tipologia di comportamenti che definiamo mobbing cosa sono e causano esattamente?  Innanzi tutto il mobbing mira a calpestare la dignità del lavoratore e la sua professionalità; in secondo luogo la sofferenza che deriva può generare patologie dovute allo stress.  Va comunque evidenziato che ogni individuo di fronte ad un conflitto professionale lo vivrà secondo la propria attitudine a reagire, alla sua forza, alla sua resistenza, tuttavia più il conflitto si prolunga più tale resistenza diminuisce. Da cui si evince che la risposta alla forma di stress generata dal mobbing è soggettiva. Alcune persone lo sopportano senza problemi per tempi più o meno lunghi, mentre altre non ne tollerano la benché minima quantità.  Al fenomeno mobbing sono state date più definizioni una delle più valide è la seguente: “Il mobbing è comunemente definito come una forma di molestia o violenza psicologica esercitata quasi sempre con intenzionalità lesiva, ripetuta in modo iterativo, con modalità polimorfe; l’azione persecutoria è intrapresa per un periodo determinato, arbitrariamente stabilito in almeno sei mesi sulla base dei primi rilievi svedesi, ma con ampia variabilità dipendente dalle modalità di attuazione e dai tratti della personalità dei soggetti, con la finalità o la conseguenza dell’estromissione del soggetto da quel posto di lavoro. A tal proposito, sembra più opportuno parlare di “soglia individuale di resistenza alla violenza psicologica” capace di indurre una condizione di mobbing, che è possibile esprimere come funzione di: (intensità della violenza) – (tempo di esposizione) – (tratti della personalità)” Mi sembra perciò abbastanza evidente che non può esistere un tempo predeterminato genericamente valido per ogni individuo per definire se un atteggiamento persecutorio può essere definito Mobbing. Infatti ad un lavoratore particolarmente sensibile, anche per sue problematiche personali, sottoposto ad una serie di soprusi e violenze morali tipiche del mobbing ripetute quotidianamente con intensità crescente per un mese come si può dire: ” resisti altri 5 mesi per far valere i tuoi diritti “; Praticamente lo si invita al suicidio. Per cui se pur vero che il mobbing non può essere definito “attraverso una condotta istantanea”, è anche vero che “l’idoneità lesiva” può svilupparsi in tempi enormemente inferiori ai sei mesi.  Aggiungo ancora che secondo altre “regole pasticciate” per essere mobbing l’ azione persecutoria deve essere subita quotidianamente e con continuità, così se il nostro esempio sta a casa malato per una settimana secondo dette regole al rientro in azienda si azzera tutto e deve iniziare nuovamente la “cura”. Per altro, come comunemente creduto, non occorrono certificazioni mediche che attestino patologie per dimostrare il mobbing, patologie che in individui particolarmente resistenti potrebbero non manifestarsi in quanto la condizione di mobbing è definita dalle molestie ripetute, non dalla patologia che ne può derivare in quanto variabile dipendente dall’ individuo. Per quanto affermato, e a chiarimento, l’assenza di patologie non compromette la tutela da mobbing, poiché sarà sufficiente dimostrare la lesione della dignità del lavoratore o della sua professionalità. Per questi motivi suggerisco di evitare di presentare al magistrato casi di mobbing, è preferibile denunciare le azioni che si stanno subendo evitando cosi di pagare per la mancanza di una legge dedicata. Ed è per quanto esposto che sento la mancanza e la necessità di tale legge che necessariamente dovrà scaturire da un gruppo di lavoro multidisciplinare costituito da politici, giuslavoristi, magistrati, psichiatri, psicologi, medici del lavoro, sociologi, sindacalisti e quant’ altri coinvolti nel problema in quanto il mobbing è un problema multidisciplinare, un grosso problema con cui assolutamente non dobbiamo continuare a convivere in nome di quel benessere sociale che tutti auspichiamo e per quella “salute e sicurezza sul lavoro” di cui è garante la Costituzione Italiana  Ed è in questo modo che leggo la sentenza di cassazione in cui i supremi giudici sentenziano sul caso specifico, tenendo presente che il tempo per determinare il mobbing è un procedimento complesso in cui è necessario considerare l’ambiente socio-culturale in cui il conflitto si svolge, le condizioni psicologiche del mobbizzato e lo specifico lavoro svolto, e non come un tempo ottimizzato ad uso generale per definire un atteggiamento persecutorio come mobbing. 

domenica 13 marzo 2011

Legge antimobbing: in Francia c'è!

La legge di modernizzazione sociale del 17 gennaio 2002, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio, contiene un capitolo intitolato “Lotta contro il mobbing sul lavoro” (articoli dal 168 al 180). Sebbene alcuni di questi articoli siano stati oggetto di riserve in termini di interpretazione da parte del Conseil constitutionnel (organismo dello stato francese che ha l’incarico di vigilare alla costituzionalità delle leggi organiche, dei regolamenti, delle elezioni. N.d.T.) (decisione n°2001-455 C del 12 gennaio 2002), tutti sono stati dichiarati conformi alla Costituzione. Sono entrati in vigore dal 20 gennaio 2002 in quanto non è necessario nessun testo alla loro applicazione.
La nozione di mobbing sul lavoro è stata introdotta nella legge di modernizzazione sociale durante il suo esame in prima lettura da parte dell’Assemblea nazionale. Il dispositivo riprendeva una proposta di legge del partito comunista francese depositata nel dicembre 1999, ed è stato approfondito nel corso delle letture del testo, in particolare alla luce del parere espresso dal Consiglio economico e sociale (CES) adottato nell’aprile 2001.
Il dispositivo approvato alla fine contiene delle disposizioni sulla definizione di mobbing, la prevenzione e le sanzioni di questo fattore di rischio, nozione che fa così il suo ingresso nel Codice del lavoro, nel Codice penale e negli statuti della Funzione pubblica. Trattandosi della definizione, qualunque riferimento ad un legame di autorità è stato eliminato: il mobbing può essere esercitato dal datore di lavoro, da un superiore gerarchico, o da un collega.
Per garantire la prevenzione è stato rafforzato il campo di intervento di vari soggetti (delegati del personale, CHSCT, medico del lavoro…). Peraltro un obbligo generale di prevenzione spetta al datore di lavoro. Altre disposizioni proteggono le vittime una volta che il mobbing si sia manifestato: viene avviata una procedura di mediazione, l’onere della prova, in caso di contenzioso, viene regolato in senso favorevole all’attore, e i sindacati possono intervenire in giudizio al posto delle vittime. Per quanto riguarda la repressione il mobbing è soggetto a sanzioni disciplinari, civili e penali.
FONTE: Legge n° 2002-73 del 17 gennaio 2002 (art.dal 168 al 180) e decisione del Conseil
constitutionnel n°2001-455 DC del 12 gennaio 2002 (GU francese del 18 gennaio).
OCCORRE PRENDERE IN CONSIDERAZIONE I SEGUENTI PUNTI
- Esecuzione in buona fede del contratto di lavoro: il principio giurisprudenziale in base al quale il contratto di lavoro viene messo in atto in buona fede è ormai inserito nel Codice del lavoro.
- Definizione di mobbing sul lavoro: il mobbing è costituito da azioni ripetute che hanno per oggetto o come effetto un degrado delle condizioni di lavoro di un dipendente che può danneggiare i suoi diritti e la sua dignità, alterare la sua salute fisica o mentale o compromettere il suo futuro professionale. Il mobbing può essere esercitato dal datore di lavoro, dal superiore gerarchico o da un qualsiasi collega.
- Tutela delle vittime e dei testimoni: nessun dipendente può essere sanzionato, licenziato o essere sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, soprattutto in materia di retribuzione, formazione, riqualificazione, assegnazione, qualifica, classificazione, promozione professionale, cambiamento o rinnovo di contratto per aver subito, o rifiutato di subire, dei maneggi che si definiscono mobbing, oppure per esserne stato testimone ed averli riferiti. Qualsiasi rottura del contratto di lavoro che ne fosse la diretta conseguenza, qualunque disposizione o atto contrario va ritenuto nullo con pieno diritto.
- Obbligo di prevenire da parte del datore di lavoro: l’imprenditore deve adottare tutte le misure necessarie allo scopo di prevenire il mobbing. Deve proteggere la salute fisica e mentale dei lavoratori e programmare la prevenzione integrandovi i rischi da mobbing.
- Regolamento interno: il regolamento interno deve contenere disposizioni relative al divieto di qualunque forma di mobbing.
- Compiti di prevenzione del CHSCT: il ruolo del Comitato di Igiene e Sicurezza e delle Condizioni di lavoro viene esteso alla protezione della salute fisica e mentale dei lavoratori. Il Comitato può peraltro proporre azioni di prevenzione in materia di mobbing.
- Diritto di allertare da parte dei delegati del personale: la procedura di allarme di cui dispongono i delegati del personale in caso di attacco ai diritti delle persone o alle libertà individuali viene estesa al caso di danno alla salute fisica e mentale dei lavoratori.
- Ruolo del medico del lavoro: il medico del lavoro può proporre al responsabile dell’azienda cambiamenti o trasformazioni relativi ai posti di lavoro giustificati da considerazioni che riguardano la salute fisica e mentale dei lavoratori.
- Mediazione: viene istituita una procedura di mediazione per le vittime di persecuzioni morali o sessuali. Chiunque nell’azienda ritenga di essere vittima di questo tipo di persecuzioni può ricorrere ad un mediatore, esterno all’azienda e scelto su una lista compilata dal prefetto. Il mediatore convoca le parti e cerca di riconciliarle.
- L’onere della prova: come avviene in materia di discriminazione, in caso di controversia relativa a mobbing o a molestie sessuali, il regime dell’onere della prova viene regolato in senso favorevole all’attore.
- L’azione giudiziaria promossa dai sindacati: le organizzazioni sindacali rappresentative in azienda possono sostituirsi al lavoratore vittima del mobbing o di molestie sessuali per agire in giudizio previa presentazione di consenso scritto dell’interessato, il quale può sempre intervenire nell’azione intrapresa dal sindacato e porvi fine in qualunque momento.
- Sanzioni: il mobbing viene punito da sanzioni disciplinari e penali.
- Funzione pubblica: il divieto di qualunque pratica di mobbing viene esteso e adattato alle tre funzioni pubbliche.
ANALISI DEL DISPOSITIVO
Fino all’approvazione della legge di modernizzazione sociale nei casi di mobbing i tribunali si basavano sulle disposizioni contenute nel diritto internazionale e in quello nazionale (Codice del Lavoro, Codice civile e Codice penale). Ma queste disposizioni non sono sufficienti per assumere tutta la specificità e le diverse forme del mobbing. D’altra parte le giurisprudenze continuavano ad essere “poco omogenee, soprattutto tra il giudice penale e il giudice amministrativo” (Rapporto del Senato n°275, Tomo 1, pag.313). Dunque la legge dedica un capitolo alla lotta contro il mobbing sul lavoro, con l’obiettivo di determinare un quadro giuridico di questa forma di persecuzione: definizione, prevenzione, sanzione. La nozione di mobbing fa la sua entrata anche nel Codice del Lavoro, il Codice penale e negli statuti dell’Amministrazione pubblica.
ESECUZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO IN BUONA FEDE (art.168)
Nell’introduzione del nuovo capitolo del Codice del Lavoro sul mobbing figura un nuovo articolo L.120-4 del Codice del Lavoro che sancisce che il contratto di lavoro è eseguito in buona fede. Questo principio derivava già dalla giurisprudenza che applicava in modo combinato l’art. L.121-1 del Codice del Lavoro (il contratto di lavoro è sottoposto alle norme di diritto comune) e l’art. 1134 del Codice civile (le convenzioni devono essere eseguite in buona fede). Ma si è sostenuto che “il mobbing è un argomento sufficientemente grave per riaffermare solennemente, all’interno del Codice del Lavoro, l’obbligo di eseguire in buona fede il contratto di lavoro” (G.U. francese, 2 maggio 2001, pag.1653).
* DEFINIZIONE DI MOBBING (art.169-I)
Viene introdotto nel Codice del lavoro l’articolo 122-49 che vieta il mobbing.
Nessun lavoratore deve subire maneggi ripetuti di persecuzione morale che hanno per oggetto o come effetto un degrado delle condizioni di lavoro tale da danneggiare i suoi diritti e la sua dignità, alterare la sua salute fisica o mentale o compromettere il suo futuro professionale.
Vengono dunque definiti alcuni criteri:
- i maneggi devono essere ripetuti;
- devono comportare un degrado delle condizioni di lavoro.
Maneggi ripetuti
I maneggi devono essere ripetuti: un unico atto, anche grave, non può essere definito “mobbing”.
Effetti dei maneggi sulle condizioni di lavoro
- Degrado delle condizioni di lavoro
Per parlare di mobbing i maneggi devono avere come obiettivo o come effetto un degrado delle condizioni di lavoro. Dunque il mobbing non deve essere confuso con il normale esercizio del potere disciplinare da parte dell’imprenditore. Solo nel caso di una deviazione del potere disciplinare e cioè esercitando pressioni illegittime si potrebbe determinare un’azione di mobbing. Va rilevato che la definizione di mobbing non richiede l’elemento intenzionale (i maneggi devono avere come conseguenza “o come effetto” un degrado delle condizioni di lavoro). Basta la semplice constatazione anche se non c’è l’intenzione di nuocere.
- Effetti del degrado delle condizioni del lavoro
Il degrado delle condizioni di lavoro deve essere suscettibile di:
- danneggiare i diritti e la dignità del lavoratore;
- o di alterare la sua salute fisica o mentale;
- o compromettere il suo futuro professionale.
Importante: il danno non deve prodursi per forza (il degrado delle condizioni di lavoro deve essere “suscettibile di” danneggiare…). Trattandosi di danno ai diritti e alla dignità del lavoratore il nuovo art. L.122-49 del Codice del Lavoro introdotto dalla legge non ha indicato i “diritti” del lavoratore che possono essere intaccati dai maneggi incriminati. Il Conseil constitutionnel ha tuttavia precisato che si tratta dei diritti della persona sul lavoro quelli enunciati nell’art. L.120-2 del Codice del Lavoro (secondo quest’ultimo articolo nessuno può imporre restrizioni ai diritti delle persone, alle libertà individuali e collettive non giustificate dalla natura del compito da svolgere né proporzionate allo scopo voluto).
Per quanto riguarda la nozione di “danno alla dignità” questa fa parte del diritto comunitario, e più specificatamente è contenuta nella definizione di persecuzione psicologica della direttiva 78/2000 del 27 novembre 2000 che definiva un quadro generale in favore della parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro.
Non è necessario che ci sia un nesso basato sull’autorità
Per mobbing si intende quello esercitato dal datore di lavoro o dal superiore gerarchico e tra colleghi.
La stesura adottata in prima lettura dall’Assemblea nazionale precisava invece che i maneggi persecutori dovevano essere compiuti dal datore di lavoro o comunque da un superiore gerarchico. Successivamente è stata soppressa la condizione di abuso di autorità soprattutto a seguito del rapporto del CES. E’ stato rilevato che “spesso sono i colleghi di lavoro, addirittura i subordinati, che si rendono colpevoli di azioni di mobbing” (Rapporto Senato n°275, Tomo 1, pag.316).
Le disposizioni relative alle molestie sessuali sono peraltro modificate per eliminare la condizione di abuso di autorità (art.179).
· CAMPO DI APPLICAZIONE (dall’art.169-VI all’art.169-VIII; art.177)
La protezione contro il mobbing previsto all’art.169 della legge riguarda:
- i lavoratori;
- i marinai (C.L. art. L.742-8 modificato);
- i collaboratori famigliari (C.L. art. L.772-2 modificato);
- i portieri e i dipendenti di immobili per uso abitativo (C.L. art.L771-2 modificato);
- le aiuto-madri (C.L. art. L.773-2 modificato. Le organizzazioni sindacali non possono tuttavia presenziare in giudizio al loro posto in quanto l’art.177 della legge non contempla l’art.122-53 che prevede questo diritto di sostituzione).
Riguarda inoltre, in base ad un regime particolare, i funzionari e gli agenti pubblici non titolari.
* PROTEZIONE DELLE VITTIME DEI TESTIMONI E DELLE PERSONE CHE HANNO RIFERITO
FATTI CHE COSTITUISCONO COMPORTAMENTI MOBBIZZANTI (art.169-1)
Nessun lavoratore può essere sanzionato, licenziato o essere oggetto di misure discriminatorie, dirette o indirette, soprattutto in materia di retribuzione, di formazione, di riqualificazione, di assegnazione, di qualifica, di classificazione, di promozione professionale, di cambiamento o di rinnovo del contratto per aver subito, o rifiutato di subire azioni di mobbing, o aver testimoniato di tali comportamenti o averli riferiti.
Qualunque rottura del contratto di lavoro conseguente a mobbing, qualunque disposizione o atto contrario va considerato nullo con pieno diritto (C.L. art.L.122-49). Quest’ ultima disposizione implica che il licenziamento o le dimissioni associati al mobbing sono nulle e dà diritto al lavoratore di chiedere il risarcimento dei danni oppure, a sua scelta, di essere reintegrato . Questa protezione vale sia per la vittima del mobbing sia per i lavoratori che hanno fornito la loro testimonianza.
* OBBLIGO DI PREVENZIONE DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO
* Compiti generali di prevenzione (art.169-1)
La legge impone al datore di lavoro un obbligo di prevenzione del mobbing. Egli deve “adottare tutte le misure necessarie” al fine di prevenire le azioni che costituiscono comportamenti mobbizzanti (C.L., nuovo art. L.122-51).
* Protezione della salute fisica e mentale dei lavoratori (art.173)
Il responsabile dell’azienda deve proteggere la salute “ fisica e mentale” dei lavoratori (C. lavoro, art.L230-2, al.1 modificato). Prima dell’approvazione della legge in questo articolo si faceva riferimento alla “salute” dei lavoratori. La precisazione in base alla quale la nozione di salute copre non solo l’aspetto fisico ma anche l’aspetto mentale è conforme “ alle norme europee e alla normativa dell’OIL e dell’OMS” (G.U. francese, 2 maggio 2001).
Il responsabile dell’azienda deve pianificare la prevenzione integrandovi in un insieme coerente la tecnica, l’organizzazione del lavoro, le relazioni sociali e l’influenza dei fattori ambientali “in particolare i rischi associati al mobbing”. Di conseguenza i rischi associati al mobbing rientrano ormai nell’ambito della prevenzione in materia di ambiente di lavoro.
REGOLAMENTO INTERNO (art.172)
Il regolamento interno deve richiamare le disposizioni relative al divieto di qualunque pratica di mobbing (Codice del Lavoro art. L.122-34 modificato). In proposito si tratta di estendere al mobbing quanto già previsto per le molestie sessuali. Una misura di questo tipo si integra alla preoccupazione di incrementare la prevenzione: “Da un lato questa disposizione determinerà un miglioramento dell’informazione dei lavoratori in quanto il regolamento interno deve essere affisso nei luoghi di lavoro. Ma soprattutto darà vita ad un dialogo all’interno dell’azienda in merito al mobbing dal momento che il regolamento interno deve essere sottoposto al comitato d’azienda e al comitato di igiene e sicurezza e delle condizioni di lavoro (CHSCT) in applicazione dell’articolo L.122-36 del Codice del Lavoro.
· LA MISSIONE DI PREVENZIONE DELCHSCT (art.174)
Il CHSCT ha il compito di contribuire alla salute “fisica e mentale” dei lavoratori (Codice del Lavoro, art. L.236-22, modificato).
Fino all’approvazione della legge di modernizzazione sociale veniva considerata soltanto la salute
in generale.
- Il CHSCT può proporre azioni di prevenzione in materia di mobbing e di molestie sessuali. Le attribuzioni del CHSCT sono estese “ al problema del mobbing perché questo Comitato costituisce una istanza appropriata di dialogo e di prevenzione dei rischi per la salute o le condizioni di lavoro. Inoltre riunisce al suo interno i rappresentanti dei lavoratori e del datore di lavoro, l’ispettore e il medico, in breve tutti i soggetti coinvolti in materia di mobbing”.(Rapporto Senato n°275, Tomo 1, pag.319)
DELEGATI DEL PERSONALE (art.176)
La procedura di allarme a disposizione dei delegati del personale in caso di danno ai diritti delle persone o alle libertà individuali viene estesa al caso di danno alla “salute fisica e mentale” dei lavoratori.
Se un delegato del personale, quando constata, soprattutto attraverso un lavoratore, che esiste un danno alla salute fisica e mentale delle persone che operano nell’azienda non giustificato dal tipo di lavoro assegnato né proporzionato all’obiettivo da raggiungere, deve informarne immediatamente il datore di lavoro. Quest’ultimo (o un suo rappresentante) è tenuto ad effettuare senza indugio un’indagine insieme al delegato e ad adottare le misure necessarie a porre rimedio a questa situazione. In caso di carenze da parte sua o di divergenze in merito alle realtà di questo danno e in caso di mancata soluzione al problema da parte del datore di lavoro, il lavoratore o il delegato nel caso in cui il dipendente avvertito per iscritto sia consenziente, porterà la vertenza davanti all’istanza di giudizio del consiglio dei probiviri che delibera secondo le forme che si applicano al caso. Il giudice può ordinare tutte le misure necessarie a far cessare il danno e integrare la sua decisione con una penale che sarà liquidata a beneficio del Tesoro. “Questa procedura che può essere messa in atto non appena si è venuti a conoscenza di un caso di mobbing, è effettivamente in grado di prevenire e di trattare dall’interno il mobbing, prima di pesanti contenziosi di riqualificazione della rottura del contratto di lavoro” (G.U.francese, 2 maggio 2001).
RUOLO DEL MEDICO DEL LAVORO (art.175)
Il medico del lavoro può proporre al responsabile dell’azienda delle misure individuali, come ad esempio il cambiamento o la trasformazione dei posti di lavoro, giustificate da considerazioni relative alla salute “fisica e morale “ dei lavoratori (Codice del lavoro, art.241-10-1 modificato). L’intervento del medico del lavoro può permettere di “attirare l’attenzione del responsabile dell’azienda su casi di mobbing di cui non sarebbe stato a conoscenza” (Rapporto Senato n°275).
MEDIAZIONE (art.171)
La legge di modernizzazione sociale istituisce una procedura di mediazione per le vittime di mobbing o di molestie sessuali (Codice del Lavoro art. 122-54 nuovo).
Avvio della procedura
La procedura di mediazione può essere avviata da qualunque persona dell’azienda che si ritenga vittima di mobbing o di molestie sessuali.
Scelta del mediatore
Il mediatore deve essere scelto al di fuori dell’azienda su una lista di personalità designate in funzione della loro autorità morale e della loro competenza nella prevenzione del mobbing o delle molestie sessuali. Gli elenchi dei mediatori sono compilati dal prefetto previa consultazione ed esame delle proposte di candidature presentate dalle associazioni il cui scopo è la difesa delle vittime di mobbing o di molestie sessuali e dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale.
Procedura di conciliazione
Il mediatore convoca le parti che devono comparire di persona entro un mese. In caso di mancata comparizione il mediatore fa un verbale scritto che viene inviato alle parti in causa. Il mediatore si informa in merito ai rapporti esistenti tra le parti, tenta la conciliazione e sottopone loro delle proposte, che consegna per iscritto, allo scopo di porre fine al mobbing. In caso di fallimento della conciliazione il mediatore informa le parti sulle eventuali sanzioni e sulle garanzie procedurali previste in favore della vittima.
Status del mediatore
Le funzioni di mediatore sono incompatibili con quelle di consulente del collegio di probiviri in attività. Il mediatore usufruisce dello stesso status di consulente del lavoratore che assiste i dipendenti durante il colloquio che precede il licenziamento: al suo caso si applicano gli articoli dal 122-14-14 al 122-14-18 del Codice del lavoro (credito di 15 ore al mese, retribuzione delle assenze, protezione contro il licenziamento, autorizzazione di assenza, segreto professionale, obbligo della discrezione). Trattandosi di obbligo della discrezione questa viene estesa a tutti i dati relativi alla salute delle persone di cui il mediatore viene a conoscenza nel corso della sua missione. Chiunque danneggerà o tenterà di danneggiare il normale esercizio delle funzioni di mediatore, soprattutto ignorando gli articoli da 122-14-14- a 122-14-17 e i testi legislativi adottati per la loro applicazione, sarà punito con un anno di reclusione e con un’ammenda di 3811,23 euro o con una soltanto delle due pene. In caso di recidiva la pena potrà essere elevata a due anni di carcere e ad una ammenda di 7622,45 euro (Codice del Lavoro art.152 modificato).
Onere della prova (art.169-1)
Il regime dell’onere della prova viene adeguato in base al modello del recente dispositivo previsto per la lotta contro le discriminazioni in modiche il divieto di mobbing sul lavoro sia effettivamente applicato. Questo adeguamento viene esteso alle molestie sessuali. In caso di controversia in relazione all’applicazione degli articoli 122-46 (molestie sessuali) e 122-49 (mobbing):
- Il lavoratore interessato presenta degli elementi che lasciano di fatto supporre l’esistenza di un comportamento mobbizzante.
- Alla luce di questi elementi spetta alla parte convenuta dimostrare che i suoi maneggi non costituiscono un comportamento mobbizzante e che la sua decisione è giustificata da elementi obiettivi estranei a qualsiasi tipo di mobbing.
- Il giudice deve in seguito formarsi una sua convinzione dopo aver ordinato, in caso di necessità, tutte le misure d’istruzione che ritiene utili.
Questo adeguamento dell’onere della prova non costituisce una inversione dell’onere stesso ma semplicemente un adeguamento di quest’ultimo. A proposito di questo adeguamento il Conseil constitutionnel ha introdotto delle precisazioni obbligatorie per i giudici. Ha ritenuto infatti che questa disposizione sia conforme alla costituzione a condizione di rispettare le seguenti “rigide riserve di interpretazione”:
- L’attore deve stabilire la materialità degli elementi di fatto precisi e concordanti.
Il Conseil constitutionnel ha precisato che “le regole di prova più favorevoli alla parte convenuta” instaurate da queste disposizioni “non possono dispensare quest’ultima dallo stabilire la materialità degli elementi di fatto precisi e concordanti che essa presenta a sostegno dell’allegazione” secondo la quale la decisione adottata nei suoi confronti deriverebbe da un comportamento mobizzante o da molestie sessuali sul lavoro.
“Per cui alla parte convenuta verrà fatta ingiunzione di spiegarsi in merito alle azioni che le vengono rimproverate e di dimostrare che la sua decisione è motivata da elementi obiettivi estranei a qualsiasi forma di mobbing. In caso di dubbio spetterà al giudice, per forgiare la propria convinzione, di ordinare tutte le misure di istruttoria utili alla risoluzione della controversia”.
- Questo dispositivo non si applica in materia penale
Il Conseil constitutionnel rileva che emerge dai termini stessi dell’articolo 169 della legge che le regole di prova derogatorie che esso instaura vanno applicate “in caso di controversia” e ne deduce “che queste regole non sono applicabili in materia penale” (principio di presunzione di innocenza).
PROMOZIONE DI AZIONI GIUDIZIARIE DA PARTE DEI SINDACATI (art. 169-I)
Le organizzazioni sindacali rappresentative presenti in azienda sono autorizzate a sostituirsi ad un lavoratore vittima di mobbing per stare in giudizio. Possono esercitare in giudizio, nelle condizioni previste dall’articolo 122-52, tutte le azioni derivanti dall’articolo 122-46 (molestie sessuali) e 122-49 (mobbing) in favore di un lavoratore dell’azienda sulla base di un consenso scritto da parte dell’interessato, il quale può sempre intervenire nell’istanza intrapresa dal sindacato e porvi fine in qualsiasi momento (Codice del Lavoro art.122-
53 nuovo). Le organizzazioni che agiscono nel quadro di queste disposizioni usufruiscono della disciplina dell’onere della prova che si applica alle vittime del mobbing. I sindacati dispongono, dunque, di una capacità di intervento meno ampia in materia di mobbing rispetto a quella di cui usufruiscono nella lotta contro le discriminazioni. In questo campo, infatti, le organizzazioni sindacali possono promuovere azioni giudiziarie senza un consenso scritto da parte dell’interessato, dal momento che quest’ultimo è stato avvertito per iscritto e non si è opposto all’azione (Codice del Lavoro art.123-6 e 122-45).
SANZIONI
- Sanzioni disciplinari (art.169-1)
Qualunque lavoratore che abbia compiuto delle azioni di mobbing è passibile di sanzioni disciplinari (C.del Lav. art.122-50, nuovo)
- Sanzioni penali (art.169-IV, 169 V e 170)
La legge prevede due sanzioni penali: una nel Codice penale e una nel Codice del Lavoro.
- Una nuova sezione intitolata “Mobbing”, che comprende un articolo unico, viene introdotta nel Codice penale. Il fatto di mobbizzare l’altro con azioni ripetute che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro tale da danneggiare i suoi diritti o la sua dignità, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo futuro professionale, viene punito con un anno di reclusione e 15.000 euro di multa (Cod.penale art.222-33-2 nuovo) Questa disposizione si adegua a quella già esistente relativa alle molestie sessuali (Cod. penale, art.222-33).
- Peraltro l’art. 152-1-1 del Codice del Lavoro viene completato in modo da prevedere che le infrazioni agli articoli 122-46 (molestie sessuali), 122-49 (mobbing) siano punite, come le infrazioni all’art. 123-1 (parità professionali uomo-donna) con un anno di reclusione e una multa di 3750 euro a partire dal 1° gennaio 2002 o con una di queste due pene. Il tribunale può ordinare, a spese della persona condannata, l’affissione del giudizio alle condizioni previste all’art. 131-35 del Codice penale e la sua pubblicazione sui giornali. Il tribunale può peraltro pronunciare un rinvio del dispositivo della pena in caso di azioni giudiziarie per infrazione alle disposizioni relative al mobbing o alle molestie sessuali nelle condizioni previste agli art. dal 132-58 al 132-62 del Codice penale:
- il rinvio comporta l’ingiunzione nei confronti del datore di lavoro di definire, previa consultazione del comitato d’azienda o, in sua assenza, dei delegati del personale, e entro un periodo di tempo determinato, misure adeguate a porre fine al mobbing. Il rinvio può, in caso di necessità, comportare anche l’ingiunzione nei confronti del datore di lavoro di porre in essere nello stesso periodo di tempo le misure definite;
- il tribunale può ordinare l’esecuzione provvisoria della sua decisione.
- Conseguenze della doppia sanzione penale
Una persona accusata di mobbing può essere perseguita sulla base sia dell’art.152-1-1 del Codice del Lavoro sia dell’art. 222-33-2 del Codice penale.
Il Conseil constitutionnel ha precisato che “quando varie disposizioni penali possono determinare la condanna di uno stesso e unico fatto, le sanzioni subite non possono superare il massimo previsto dalla legge, in applicazione del principio della proporzionalità delle pene che proviene dall’articolo 8 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. “Spetterà alle autorità giurisdizionali e, se necessario, alle autorità incaricate della riscossione delle ammende, di rispettare, nell’applicazione della legge, il principio della proporzionalità delle pene”. “Con questa riserva l’inserimento nel Codice penale e in quello del Lavoro di due incriminazioni che censurano le azioni di mobbing sul lavoro, di cui la prima rispetto alla seconda ha indubbiamente un più vasto campo di applicazione, non è contrario alla Costituzione” ( Conseil constitutionnel, 12 gennaio 2002, decr.n°2001-455 DC).
FUNZIONE PUBBLICA (art.178)
Per i funzionari la legge riprende, adeguandole, le disposizioni dell’art. 169 in materia di definizione, divieto e sanzione del mobbing. Prevede inoltre la stessa protezione specifica delle vittime del mobbing e delle persone che hanno testimoniato. Invece la disciplina dell’onere della prova in caso di mobbing non viene esteso al contenzioso amministrativo che ha delle regole proprie in materia.
Il progetto di legge adottato in prima lettura dall’Assemblea nazionale prevedeva solo una modifica del Codice del Lavoro. Ma successivamente il legislatore ha tenuto conto del rapporto del Conseil économique et social che prevedeva l’estensione della nozione di mobbing al settore pubblico. Il rapporto rilevava infatti che “il diritto pubblico sembra relativamente scarso di disposizioni in grado di poter essere mobilitate contro il mobbing”. Peraltro “ è vero che la giurisprudenza amministrativa tiene in minor considerazione il fenomeno rispetto a quella giudiziaria”. Ora, numerosi esperti ritengono che il male sia ancora “più radicato nell’amministrazione. Il ministro del Lavoro e della Solidarietà indicava davanti al Conseil économique et social che il settore pubblico rappresentava attualmente un terzo dei casi di mobbing segnalati. Altri studi parlano di proporzioni ancora maggiori” (Rapporto del Senato n°275).
Divieto di mobbing
Un articolo 6 quinquies della legge 83-634 del 13 luglio 1983 relativa ai diritti e ai doveri dei funzionari prevede che nessun funzionario deve subire azioni ripetute di mobbing che abbiano per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro tale da danneggiare i suoi diritti e la sua dignità, alterare la sua salute fisica o mentale o compromettere il suo futuro professionale. 
Protezione delle vittime, dei testimoni, e delle persone che hanno riferito fatti definibili come mobbing
Nessuna misura riguardante in particolare l’assunzione, il passaggio in ruolo, la formazione, la valutazione, la disciplina, la promozione, l’assegnazione e il cambiamento può essere adottata nei confronti di un funzionario prendendo in considerazione:
- il fatto che egli abbia subito o rifiutato di subire azioni o comportamenti di mobbing;
- il fatto che si sia rivolto ad un superiore gerarchico o abbia promosso un’azione giudiziaria per porre fine a queste malversazioni;
- o il fatto che egli abbia testimoniato in merito a questi comportamenti mobizzanti o li abbia riferiti.
Qualunque funzionario che abbia esercitato il mobbing è passibile di una sanzione disciplinare. La protezione contro il mobbing viene estesa anche ai funzionari non titolari di diritto pubblico.
Traduzione a cura di Roberta Clerici

http://www.cgil.it/archivio/saluteesicurezza/Mobbing%20Francia.pdf

lunedì 7 marzo 2011

Un processo

di Silvana Catalano

- Si aprano le porte ed entrino gli imputati,
quali sono i reati a loro contestati? -

- Signor Giudice, sono rei d’assassinio d’innocenti,
difensori di pensiero libero e sentimenti,
nel corso di una lunga guerra di Potere,
che affratellava camicie rosse, bianche e nere.
In quel tempo, un silente messaggio persuasivo
costoro lanciarono in modo subdolo, ma invasivo:
“Distruggi il diverso, è un tuo nemico,
solo con lo stesso pensiero può esserti amico.
E se zitto e buono con noi starai
ed alle nostre regole tu obbedirai,
prerogative e vantaggi potrai avere,
e successo e denaro potrai ottenere.”
Gli imputati ben conoscevano l’animo umano,
facilmente disposto a diventar mercenario.
Un esercito di venduti si pose al loro fianco,
piegandosi e applicando le regole del branco,
rinunciando, allegramente, alla propria libertà,
 e adeguandosi ad una disumana mentalità.
La discordia germogliava da mattino a sera,
frutto del principio del dividi et impera,
menzogne e raggiri alimentavano un caos quotidiano
e avere fiducia nell’altro era ingenuo e vano.
L’insegnamento del Principe Machiavellico
fu il principale strumento bellico,
il  famoso motto avrebbe, infatti, giustificato,
ogni  sporca infamia e male arrecato.
Sull’altare del Potere i sentimenti furono sacrificati,
se d’intralcio ad esso, gli affetti andavano immolati,
senza rimorso, venne calpestata l’umana dignità,
e nessuno mostrava alcun cenno di pietà.
Questa guerra gli uomini in bestie trasformava
e custodire la propria umanità ai margini condannava.
I valori universali dell’uomo, sempre eterni,
non si confacevano più a quei tempi moderni:
gli ideali che illuminano il terreno cammino,
ritenuti inutili, erano stati buttati nel cestino.
Coloro che si opponevano a questo regime
erano condannati ad una disgraziata fine,
fatalmente perdevano casa, figli o lavoro,
stroncati dalla mancanza del proprio tesoro.
Il loro triste e perdente modello dimostrava
cosa sarebbe accaduto a chi non si adeguava,
e capacità di una faticosa e logorante resistenza
era possibile solo con una ben radicata coscienza.
Risorgere da umane macerie pareva una chimera,
e, per l’omertoso muro d’indifferenza che c’era,
inutilmente veniva cercata d’aiuto una mano,
restando privati, anche, del salubre calore umano.
A brama di suicidio  gli oppositori furono istigati,
dopo essere stati torturati ed emarginati,
e la morte fu considerata unica via di salvezza,
per porre fine a così tanta tristezza.
Solo una caparbia ricerca di Giustizia li ha salvati
e dalle proprie ceneri i sopravvissuti sono risuscitati. –

-  Ma vostro Onore, replicano gli imputati,
si tratta d’accuse da parte di poveri malati,
neanche un solo proiettile in questa guerra fu sparato
e un cadavere a terra non si è mai contato.
Come possiamo essere ritenuti assassini,
senza macchiarci di sangue di morti lontani o vicini?
Un sistema sociale già corrotto era tutto da cambiare
e per raggiungere tale fine dovevamo comandare.
Ingiustizie e corruzioni c’erano sempre state
e noi le abbiamo vistosamente moltiplicate,
per provocare, prima o poi, una sociale reazione
da cui far nascere una nuova Nazione.
E’ vero, abbiamo fatto la prima mossa
ma tanta gente aveva bisogno di una grande scossa,
un popolo di dormienti andava risvegliato
ed usando astuti mezzi e con l’inganno, abbiamo osato.
La religione è un efficace strumento di potere
e come Dei in terra ci dovevano temere,
dirigendo, con mistero, dalle nuvole celati
sudditi docili e obbedienti, da noi ben addestrati.
 Per essere temibili stroncavamo ogni opposizione,
neanche un santo era esentato da carota e bastone,
e se un grave peccato noi scoprivamo,
a causa delle loro stesse colpe, li ricattavamo.
Il nostro continuo spargere dolori e sofferenze
serviva, anche,  al risveglio delle coscienze,
e con la promessa di un terreno paradiso,
a chi si sottometteva schiarivamo il viso.
Bastava dare pancia piena e divertimenti,
non chiedevano altro per essere contenti.
Tanta gente non si curava di Giustizia e Libertà
e accettava sorprusi e prepotenze come normalità,
era sempre pronta a tradire il proprio amico
pur di avere un banale e possibile beneficio
e la scelta di diventar nostri schiavi
fu conveniente per una pavida massa d’ignavi.
Tutti con un prezzo maggiore o minore
pronti ad osannare un qualsiasi dittatore,
anche un demonio avrebbero servito
pur di sfamare il loro terreno appetito.
Le loro colpe e debolezze abbiamo sfruttato
per avere il comando di un gregge omologato,
poiché un branco di persone è più facile da guidare
quando nessuno in modo libero riesce a pensare,
idolatrando, più di tutto, noi Dei in terra
che azionavamo il meccanismo di questa guerra. -

La parola, infine, passa al Magistrato,
che così riassume ciò che è stato argomentato:
-  Con delirio di onnipotenza e presunzione
voi imputati, torturaste il galantuomo e il mascalzone,
trasformando gli uomini in legnosi burattini,
pronti ad ubbidire unicamente ai vostri fini
 Il perseguimento dei dichiarati scopi, seppur nobili,
non può mai giustificar l’uso di mezzi ignobili
e violare la psiche umana e bandire i sentimenti
non vi rende, al mio cospetto, innocenti.
Saranno i posteri a giudicare la Storia,
poiché di questi fatti rimarrà scritta memoria,
ma, oggi, dalle vittime Giustizia è reclamata
e la Legge della Vita va sempre rispettata.
Pertanto, sentenziò il Giudice, con un amaro sorriso,
siete colpevoli perché agli uomini l’anima avete ucciso,
con perversa strategia annientaste mente e cuore
ed è per questo che vi dichiaro assassini del Dio Amore. –
_

A tal punto lo scrittore esce di scena,
richiamato dalla melodia di una sirena,
non cerca applausi, caro e paziente lettore,
poiché,  della Giustizia, è solo un sognatore.

Grazie Silvana!

Una petizione per istituire un garante per la sicurezza e la salute dei lavoratori

Istituire un'autorità garante per la sicurezza nei luoghi di lavoro per: 
1) Ridurre la mortalità dovuta a mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro.
2) Monitorare le situazioni a rischio, con particolare attenzione alle forme subdole, quali la violenza psicologica nei luoghi di lavoro (mobbing).
3) Snellire le procedure per il riconoscimento e il risarcimento dei danni in caso di sinistri accaduti nei luoghi di lavoro mediante il ricorso all'autorità garante.
4) Prevenire i danni stessi attraverso un costante e rigoroso controllo del rispetto delle normative esistenti (art. 2087 c.c. - dal DLgsl 9 aprile 2008, n. 81, DLgs 5 agosto 2009, n. 106). 
5) Reprimere i reati commessi dal datore di lavoro con sanzioni immediate

 

La petizione "Istituzione Garante Sicurezza salute dei lavoratori" è stata creata e scritta da Caterina Ferraro Pelle il 05/03/2011

martedì 1 marzo 2011

Buon compleanno Caterina

Caterina Ferraro Pelle è l'autrice del libro "Mobbing: storia di una donna che non si arrende", nonchè la fondatrice di un gruppo su Facebook denominato "Mobbing: contiamoci per contare". Caterina è una grande donna, ed oggi è il suo compleanno: quel che segue è quanto ho scritto nel gruppo da lei fondato.

Che Caterina fosse una donna di grande personalità mi era apparso subito chiaro fin dal momento in cui sono entrato nel gruppo: bastano poche battute per farsi un’idea di una persona. Ma leggendo il suo libro ho capito molto di più: Caterina è una donna bellissima. E’ una persona i cui tratti fisici sono illuminati da una potente luce interiore: la luce di una grandissima intelligenza, di un’etica che non si piega ai compromessi, di una rara capacità di provare e trasferire emozioni, di una forza d’animo sorprendente, che la fa resistere a tante, troppe, ingiustizie. Il tutto di pari passo con una grande competenza professionale, conquistata attraverso lo studio, i sacrifici, la passione per il proprio lavoro.
La prima cosa che ho osservato del libro è stato lo stile letterario, in cui la descrizione della propria vicenda personale procede in parallelo con paragrafi in cui il fenomeno del mobbing viene analizzato in modo più scientifico e distaccato. Avevo letto delle recensioni in proposito, e tale aspetto era stato giudicato molto innovativo. Io non sono stupito di questa innovazione perché, vivendo un problema analogo, comprendo molto bene lo stato d’animo di Caterina che, da una parte, ha la necessità di raccontare la propria storia, ma dall’altra vuole anche fornire strumenti e dare sostegno a chi vive una situazione simile, oltre a fare informazione nei confronti di chi non sa.
Narrando il susseguirsi dei fatti, Caterina parla di sé in seconda persona. Questo a mio avviso è un aspetto del libro particolarmente originale, normalmente le autobiografie si scrivono in prima persona, o tutt’al più in terza… Ma la seconda persona trasferisce al lettore delle sensazioni del tutto particolari: chi legge si sente preso per mano e portato sulla scena dove si svolgono i fatti, gli sembra di vedere coi propri occhi ogni situazione, di provare per davvero quelle emozioni. Le persone che le sono intorno e da cui derivano tutti i suoi problemi non vengono mai indicate per nome, neanche con un nome di fantasia: ciò le rende ancora più opache e mediocri.
La storia di Caterina mi ha insegnato una cosa che ignoravo del tutto, e cioè il fatto che il mobbing è un mostro che non riguarda solo il semplice operaio o impiegato, ma anche figure di elevatissimo inquadramento professionale. Ma la dinamica è la stessa: da una parte uno o più mediocri e spesso incompetenti che alimentano con l’odio, l’invidia, l’interesse le proprie azioni. Dall’altra la persona onesta, preparata, che vuole innovare, che vuole rispettare le regole. In mezzo il popolo degli struzzi, che fingono di non vedere, che assecondano sempre il capo, che sono disposti a qualsiasi vigliacca azione pur di essere nelle grazie del mobber.
Mi è piaciuto molto come alcuni concetti vengano spiegati attraverso similitudini; se ne era già parlato nel gruppo, ma una che mi è piaciuta in modo particolare è quella che mette a confronto il comandante militare col direttore d’orchestra... Non provo neanche a spiegarla, è da leggere.
Certamente è importante vincere nei tribunali, ma questo libro, Caterina, ti restituirà molto di quello che ti è stato tolto. Il consenso che stai ottenendo e che ancora otterrai sopravvivrà sempre, perché sei nel giusto e perché i libri sono immortali. Al contrario di quei mediocri che, terminata la loro vicenda terrena, nessuno rimpiangerà.

Sono alle ultimissime pagine, stasera ultimerò la lettura del libro e lo riporrò, con gli altri, nella mia libreria. Guardando i miei libri, sono in grado di ricordare con nettezza, per ciascuno, il periodo della mia vita in cui li ho letti, le emozioni che mi hanno dato… So già che il tuo libro, Caterina, sarà per me il più caro fra tutti. E’ questo, nel mio microscopico, il mio regalo per il tuo compleanno.