Chi scrive ha una storia lavorativa che nasce nel 1996. Prima semplice collaboratore, poi impiegato, infine capoufficio in una piccola azienda.
Ma la mia esperienza lavorativa ormai è alle spalle, il mobbing che ho subìto ha avuto la conseguenza di farmi perdere il posto di lavoro, ed anche la salute.
Questo blog rappresenta soprattutto un diario, molto parziale, di ciò che mi è capitato.
In esso potrete trovare anche notizie interessanti, informazioni utili, consigli, ma nè questo blog nè altri possono sostituire il supporto di un avvocato specializzato in diritto del lavoro, oppure di uno psicologo. Il mio invito a quanti subiscono una situazione di disagio sul posto di lavoro è comunque quello innanzitutto di confrontarsi con altre persone che soffrono o hanno sofferto lo stesso problema: oggi lo si può fare molto facilmente anche attraverso Facebook, dove esistono - e sono purtroppo molto frequentati - gruppi che affrontano questa tematica.
Invito tutti i lettori a lasciare un commento, anche in forma anonima: più se ne parla, meglio è!

giovedì 24 febbraio 2011

Pensieri

Entrare in contatto con altri mobbizzati ha significato per me entrare in contatto con un mondo che non conoscevo. E' come entrare in un ospedale: quando stai bene non ci pensi, ma se tu o un tuo caro è ricoverato, vieni a conoscenza di un mondo parallelo, il mondo della gente che soffre. E' inevitabile sentirsi un po' in colpa: "E' un problema perché ora tocca me", è questo un pensiero doloroso che faccio, assai ricorrente.
Io non vedo l'ora di uscirne, perché il mobbing ti distrugge, non ti fa dormire, ti impedisce di programmare la tua vita, ti toglie letteralmente la voglia di vivere. Ma non potrò mai dimenticare questa fase della mia vita, non potrò mai dimenticare i miei polmoni schiacciati da una violenza stupida ed inutile... Sarò sempre dalla parte del più debole ed indifeso, questo lo affermo con certezza, diversamente non sarei un essere umano.
Ma ora ci sono ancora dentro. E' come muoversi in un labirinto buio dove ogni passo che fai non sai se ti porterà nel baratro oppure sulla via giusta... ed ogni appiglio che trovi non sai se è sicuro, se ti puoi fidare, oppure è una mano nemica che ti spinge ancora più giù. E mentre sei stanco, stordito da segnali che non sai più interpretare, quando pensi che vorresti evaporare, scomparire in un attimo, vedi scorrere accanto a te visi indifferenti, persone, colleghi, "amici" che neanche ti chiedono banalmente "come va?"... ma non riesco a provare odio o risentimento... loro non sono entrati in questo ospedale, loro non sanno...

martedì 15 febbraio 2011

Sconfiggere il mobber

Tratto dal libro "Mobbing - storia di una donna che non si arrende" di Caterina Ferraro Pelle.
"Il mobber è portato a credere che nessun ostacolo si frapponga fra lui e la sua decisione di disfarsi della vittima. Questo è un notevolissimo punto a favore per il molestato. Essere sottovalutati da un superiore che ipervaluta se stesso permette di agire quasi indisturbati nella costruzione della propria difesa.
Si pensi ad una partita di tennis, alla regola secondo la quale, dopo il quaranta, si abbandona il conteggio dei punti con l’aiuto dei numeri.
Dal momento in cui si è in parità, la partita, teoricamente, potrebbe andare avanti all’infinito. In questo caso, perde chi si stanca di più, chi abbandona la concentrazione, chi ha meno energie. Non meno fortuna. Nel tennis la fortuna è nell’abilità del giocatore.
In prima analisi potrebbe sembrare che la vittima sia destinata a perdere. In realtà, la condizione di mobbizzato costringe ad un allenamento continuo, senza soste che sembra sfiancare ed invece fortifica. Al tempo opportuno, quando occorre mostrare la propria capacità di resistenza, il mobber è il più debole.
Vediamo perché. Il mobbizzato, isolato dal contesto della struttura ed assegnato a compiti dequalificanti, dispone certamente di una quantità di tempo per riflettere maggiore di quella che il mobber dedica, e con disdegno, al problema. Il successo, per il mobber, è scontato, conseguito a tavolino: l’arbitro è dalla sua, il pubblico certamente lo sostiene, dunque, per lui, dare peso alle doti dell’avversario potrebbe addirittura produrre effetti indesiderati quali l’impressione di paventare un risultato diverso dalla vittoria. Al mobbizzato non resta che lasciar fare alla pallina. I colpi del mobber sono conosciuti e scontati, provengono sempre dalla stessa direzione, con identica, distratta potenza. Il palleggio prolungato è di gran lunga preferibile al tentativo di mosse a sorpresa. Rispondere ai colpi con altrettanta distrazione, ma solo apparente, accresce la paradossale possibilità, esistente nelle regole del tennis, che a perdere la partita sia chi segna più punti.
Nel tennis il singolo gioco si aggiudica, infatti, assegnando punti nella successione di 15-30-40-vittoria, e se i giocatori sono sul punteggio di 40-40 consegue la vittoria chi guadagna due vantaggi consecutivi. Per vincere un gioco, un tennista deve superare l'avversario sempre di almeno 2 punti. Ora, per esempio: se due giocatori, che chiameremo Ga e Gb, che disputino una partita al meglio di tre set terminassero nel modo seguente:
primo set: Ga 6 e Gb 0;
secondo set: Ga 4 e Gb 6
terzo set: Ga 5 e Gb 7,
totale punti Ga = 15 totale punti Gb = 13
concludendolo ai vantaggi, si aggiudicherebbe la partita Gb, che, come si è visto, in totale avrebbe messo a segno un numero minore di colpi vincenti rispetto all'avversario.
.........................Nella competizione sul campo del mobbing, un campo fatto di scrivanie, telefoni, poltrone, i colpi sono sferrati senza nessuna pietà. Gli avversari, il mobber ed il mobbizzato, provano, come si è già visto, sentimenti diversi, ma la volontà di averla vinta spinge entrambi ad essere accaniti"
Grazie Caterina 

venerdì 11 febbraio 2011

E il tempo passa...

Ci sono riuscito, anche questo venerdì è arrivato. Finalmente domattina potrò svegliarmi senza quel mattone che mi schiaccia i polmoni, senza dover rientrare in quelle quattro mura, senza dover rivedere le solite facce ostili.
Per circa dieci giorni non ho fatto altro che strappare vecchi documenti ormai inutili da conservare... si sarebbe potuto fare un bel falò, oppure acquistare una macchina distruggi-documenti moderna... invece no, Otello ha preferito pagare me per due settimane con lo scopo di farmi fare quel lavoro manualmente, per sette ore e mezza al giorno, per farmela pagare chissà per che cosa. Mi si sono consumati i polpastrelli... per fortuna sono passato ad altro. Altro che è sempre una schifezza: riordinare un vecchio archivio di un nostro collaboratore che ha alcune migliaia di clienti... un lavoro che potrebbe fare davvero chiunque, mentre invece viene destinato a me.
Intanto sono arrivati dei funzionari provenienti dalla nostra sede centrale, per effettuare delle verifiche amministrative. Mi hanno visto ogni giorno strappare documenti e basta, ovviamente non immaginano neanche che io sia il capoufficio ed anche la persona con maggiore esperienza fra i dipendenti: nessuno lo ha detto loro. Pensano probabilmente che io sia un poveraccio al quale è stata offerta una pagnotta in cambio di un lavoro a termine, uno sfigato senza alcuna competenza. La loro presenza rende ancora più evidente come il mio ruolo sia volutamente secondario ed emarginato nel contesto dell'ufficio.
I rapporti umani sono poi ulteriormente peggiorati. Indaffarati come sono a farsi zerbini nei confronti di questi due funzionari, per giorni io sono rimasto in assoluto silenzio, nessuno ha avuto alcuna necessità di interloquire con me, con Giuditta in particolare è cessata completamente qualsiasi forma di comunicazione. Per la verità ho avuto anche qualche piccola soddisfazione: infatti da questa ispezione è emerso che una procedura che Otello aveva imposto era del tutto sbagliata, come io gli avevo più volte fatto presente. Ovvio che non è affatto venuto a dirmi "avevi ragione tu": poveraccio, crede che ammettere di aver sbagliato comporti una diminuzione della sua personalità. Alcuni collaboratori esterni intanto mi hanno apertamente manifestato la loro vicinanza, questa è una cosa che mi ha fatto particolarmente piacere. Mi serve soprattutto per ricordare a me stesso che la mia vita non è quella che si svolge in quel triste ufficio: fuori per fortuna c'è un mondo che ha stima di me e mi tratta con rispetto. Ho la coscienza assolutamente pulita, so di avere ragione, sono convinto che chi è corretto ed onesto alla fine vince sempre. Ed in ultimo ho trovato un gruppo su facebook di gente che vive la mia stessa condizione. E' importante leggere le esperienze degli altri, è importante solidarizzare. Vedo che ci sono tante donne che se la passano malissimo, e mi dispiace profondamente...

domenica 6 febbraio 2011

Ufficio? con le emozioni si può quando l'impresa è “affettiva”


Abbassare il livello di verticalità dei rapporti, chiamare i lavoratori a co-decidere e progettare insieme. Come fare affinché lo stato d’animo di chi lavora migliori la produttività aziendale. La via per fare diventare le organizzazioni più empatiche. Perché le emozioni non possono stare fuori dalle imprese. Il pedagogista Bruno Rossi nel nuovo libro “Lavoro e vita emotiva” spiega le ragioni e indica i modi in cui si può (e si deve) ricercare il benessere anche in azienda

di ERICA FERRARI Chi non ha mai visto sfumare un progetto importante a causa delle tensioni con i colleghi? Chi non ha mai avuto difficoltà a tenere fuori dall’ufficio un problema personale, una crisi familiare o un momento di malumore? Che sia difficile celare le proprie emozioni è cosa nota. Quel che non si sapeva è che, per lavorare bene, non è affatto necessario reprimerle. Bruno Rossi, professore di Pedagogia delle organizzazioni all’Università di Siena, è convinto che la vita professionale sia in gran parte basata su elementi irrazionali.
Convivenza e efficienza. Nel suo ultimo libro, “Lavoro e vita emotiva” (Franco Angeli Editore, pp. 224, euro 25), lo studioso spiega infatti che le organizzazioni lavorative sono inevitabilmente pervase dall’emotività delle persone che ne fanno parte. Non solo: lo stato d’animo di chi lavora ha un’influenza sostanziale sulla produttività aziendale. “La vita organizzativa è una vita emozionata ed emozionante - dice il professore - perché nel lavoro non solo ‘si fa’ ma ‘si sta’, si abita un contesto, con tutti i problemi di convivenza che possono riversarsi sull’efficacia e sull’efficienza della produttività”.
Insegnare le competenze socio-emotive. Se dell’emotività non si può fare a meno, è però possibile utilizzarla per ottenere vantaggi tali da incidere sia sulla carriera personale che sui risultati dell’azienda. Come? Rossi lo spiega a partire dal sottotitolo del libro, “La formazione affettiva delle organizzazioni”: “Ho elaborato delle proposte formative per far guadagnare al management e ai dipendenti le competenze socio-emotive finalizzate allo star bene - dice - e ho la convinzione che questo abbia una ricaduta anche a livello organizzativo sulla produttività aziendale”.
Leader emotivi e aziende viventi. Le prime indicazioni che Rossi offre per favorire il benessere in azienda sono a carico di chi ha più responsabilità: “Innanzitutto - spiega - il dirigente dovrà considerare i propri dipendenti non come una spesa o come uno strumento, ma come una risorsa: tra le competenze alle quali i lavoratori devono essere formati non ci sono solo i saperi ‘tecnici’, ma anche le abilità emotive e interpersonali, in particolare la capacità di saper modulare le proprie emozioni nel rapporto con gli altri”.
Se lo stesso dirigente dovrà trasformarsi in un “leader emotivo”, meno legato al proprio ruolo, più flessibile e disposto all’ascolto dei propri collaboratori, anche l’organizzazione aziendale dovrà essere riformulata: il passaggio, in questo caso è dall’“impresa-macchina” alla “living company”, intesa come una comunità dove le strategie di management includono anche etica, rispetto e regole morali.
Orizzontalità e partecipazione. Quando pensa a un modello d’impresa, Rossi cita i libri di Christian Boiron, presidente e amministratore delegato dell’omonima azienda di prodotti omeopatici. “Si tratta di abbassare il livello di verticalità dei rapporti, chiamare i lavoratori a co-decidere e progettare insieme, per quanto possibile, farli sentire importanti e affidare loro delle responsabilità - dice il professore -. Si tratta anche di spendere per loro, non facendoli sentire un costo ma una risorsa su cui investire”.
I frutti della continuità. In questa “impresa della felicità” anche i dipendenti dovranno fare la loro parte per rendersi emotivamente competenti alla vita aziendale. La formazione alla vita emotiva, precisa Rossi, “deve essere continuativa, non a spot”: bene allora le sessioni di team building e i corsi motivazionali, “ma bisogna prestare molta attenzione all’organismo di formazione a cui ci si rivolge, e diffidare soprattutto di chi porta in azienda pacchetti preconfezionati”, ammonisce lo studioso”. Che conclude: “C’è bisogno di una cultura della formazione, che in Italia non è molto diffusa”.
http://miojob.repubblica.it/notizie-e-servizi/notizie/dettaglio/ufficio-con-le-emozioni-si-pu-quando-l-impresa-affettiva/3910682

venerdì 4 febbraio 2011

Un decalogo per resistere

Trovati in rete, questi consigli mi sembrano particolarmente utili.

1. Abbiate pazienza:
Il viaggio contro il mobbing è lungo, duro e difficile: organizzatevi per una lotta nella quale, alla fine, sarete voi i vincitori. Il tempo gioca a vostro favore: dopo un periodo iniziale di scoramento e di depressione ritroverete la forza di vivere, di sorridere, di sconfiggere i vostri mobbers, di essere giustamente risarciti per i danni subiti.

2. Non cedete allo scoramento ed alla depressione:
Il mobbing cui siete sottoposti non avviene per colpa vostra: le motivazioni socio-psicologiche alla base del mobbing sono molteplici e complesse, oggetto di studi approfonditi di sociologi, psicologi e giuristi. Voi siete solo un capro espiatorio di una situazione che non dipende da vostre colpe.

3. Non pensate alle dimissioni:
La prima cosa alla quale un mobbizzato pensa è quella di fuggire e di liberarsi dalla situazione stressante, abbandonando la scena. In effetti spesso il mobbing ha solo lo scopo di “poter licenziare impunemente”. Dare le dimissioni vi libera, è vero, dal mobbing ma con le dimissioni “la date vinta al mobber” e vi precludete qualsiasi successiva azione risarcitoria nei vostri confronti. Ricorrete ad un periodo di malattia solo per il tempo strettamente necessario: utilizzate preferibilmente i periodi di ferie non godute o i recuperi orari. Tenete però ben presente che al ritorno sul luogo di lavoro dopo un periodo più o meno breve di assenza potreste trovare che molte cose sono cambiate in peggio: durante la vostra assenza il mobber ha avuto tutto il tempo per organizzarsi meglio.

4. Non pensate di essere gli unici:
Si calcola per difetto che in Italia vi siano almeno un milione e mezzo di mobbizzati (circa il 6% della forza lavoro). Pensare di essere gli unici è una falsa immodestia: siete solo uno dei tanti.

5. Organizzatevi per resistere:
Considerate che, secondo calcoli fatti dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), la messa in atto di azioni mobbizzanti nei vostri confronti, costa alla vostra azienda attorno al 190%della vostra retribuzione annua lorda: alcune cause di questi costi sono:
· Il tempo impiegato dal mobber per studiare nuove forme di vessazione nei vostri confronti
· La perdita di morale tra i lavoratori
· Le giornate lavorative perse in malattia a causa del mobbing
· I costi a carico del SSN per la cura dei lavoratori ammalatisi a causa del mobbing
· I costi delle liquidazioni in caso di licenziamento spontaneo
· L'azienda, a causa del mobbing, perde elementi produttivi e competenti
· La sostituzione del lavoratore licenziato ha un costo per l’azienda in termine di know-how
· I risarcimenti per cause civili ai lavoratori mobbizzati

6. Raccogliete la documentazione delle vessazioni subite:
Poiché il mobbing, anche se non vi è una legislazione precisa e ad hoc contro di esso, rientra in fattispecie di reati previsti e penalmente perseguibili e di illeciti amministrativi (per esempio, reati: abuso di potere, minacce, violenza privata, diffamazione, calunnia, lesioni personali, etc; illeciti amministrativi: demansionamento, dequalificazione, etc.), è necessario che voi documentiate nel modo migliore possibile le azioni mobbizzanti messe in atto nei vostri confronti. Pertanto:
· Trovate colleghi disposti a testimoniare (anche se è difficile……..)
· Tenete un diario di ogni azione mobbizante contenente: data, ora, luogo, autore, descrizione, persone presenti, testimoni
· Tenete un resoconto delle conseguenze psico-fisiche sul vostro organismo delle azioni mobbizzanti (il mobbing fa ammalare: i sintomi di questa malattia possono essere psichici (ansia, depressione, attacchi di panico, etc.), fisici (insonnia, emicrania, cefalea, dolori muscolari, precordialgie, palpitazioni cardiache, acidità gastrica, tremori, mancanza d’appetito, appetito eccessivo, diminuzione della potenza e del desiderio sessuale, etc.) e del comportamento (perdita dell’autostima, mancanza di fiducia in se stessi, senso di inutilità, etc). Questo vi faciliterà nel documentare il danno biologico che il mobbing ha determinato su di voi, al fine della richiesta di risarcimento dei danni psico-fisici (lesioni personali).
· Mettete in forma scritta e fate protocollare o spedite per raccomandata A.R. ogni vostra richiesta: trasformate qualsiasi ordine verbale ricevuto, in interrogazione scritta (“a voce mi è stato detto di fare questo, chiedo conferma scritta”). Molto spesso non riceverete risposta: ciò sarà la prova di una tra le azioni mobbizzanti.

7. Cercate degli alleati:
E’ questa la cosa più difficile: non sempre i colleghi sono dei “cuor di leone”. Spesso si ritirano in disparte per evitare che il mobbing messo in atto nei vostri confronti possa estendersi anche ad essi. Oppure, nel trasversale, sono essi stessi i vostri mobbers.
Non vi isolate: coltivate le vostre relazioni sociali, frequentate gli amici, rinsaldate i rapporti familiari spesso impoveriti dal punto di vista affettivo e sessuale. Spiegate ai vostri familiari cos’è il mobbing e quello che state subendo. Non vergognatevi della vostra situazione, parlate con le persone che vi sono vicine per acquistare consapevolezza della vostra situazione, per rafforzare l’autostima ma non passate all’estremo opposto. Parlare incessantemente del vostro problema, focalizzare l’attenzione unicamente sul vostro dramma, può stancare amici e familiari e quindi potreste trovarvi ancora più soli. Il vostro matrimonio, la vostra famiglia, le vostre amicizie potrebbero andare in crisi. Si realizzerebbe così il fenomeno del “doppio mobbing” per il quale le persone coinvolte in Italia dal mobbing, assommano a 5 milioni.

8. Denunciate il mobbing:
E’ questa una attività da attuare con ponderata attenzione: evitate che le denuncie possano esporvi a ritorsioni (possibili querele per diffamazione).
Scrivete la storia del vostro mobbing. Siate il più concisi possibile. Prima di divulgarla riponetela in un cassetto e rileggetela dopo almeno una settimana: eliminate le parti superflue e conservate solo quelle importanti. La precisione nei particolari fa diventare pesante la vostra storia: dovete colpire l'attenzione di chi vi legge.
Rivolgetevi ai giornali, televisioni private, radio locali, sindacati, associazioni di categoria. Denunciate fatti reali e documentati. Scrivete dei tazebao da affiggere nei luoghi consentiti. Divulgate all’interno dell’azienda le vostra situazione: il racconto della vostra storia potrebbe far sorgere tra gli altri dipendenti un movimento di opinione a vostro favore. Ricordate che la pubblicizzazione della vostra denuncia può essere incompatibile con la segretezza degli atti d’ufficio.
Chiedete copia della documentazione esistente negli atti d'ufficio e nel vostro fascicolo personale: è un vostro diritto (legge 241/90 sulla trasparenza amministrativa e legge 675/96 cosiddetta sulla "privacy") l'accesso agli atti d'ufficio che vi riguardano e al vostro fascicolo personale per poter ottenere copia di tutti i documenti che vi interessano.

9. Iscrivetevi ad una associazione contro il mobbing:
Rivolgetevi unicamente a quelle che sono apolitiche, asindacali, aconfessionali, che non hanno scopo di lucro, come il MIMA

10.Ricorrete alle vie legali:
In questo caso non siate impazienti:
· Nella scelta tra procedimento penale e/o civile, (causa di lavoro, risarcimento del danno biologico), preferite dapprima il procedimento civile (causa di lavoro, risarcimento per lesioni personali).
· La durata di una causa di lavoro è lunga: anche in caso di vittoria in primo grado, aspettatevi un ricorso in appello da parte dell’azienda: calcolate da un minimo di quattro anni fino ad otto – dieci anni.
· Rivolgetevi ad un buon avvocato cha abbia già trattato cause di mobbing, che sicuramente non abbia legami con la vostra azienda.
· Chiarite subito gli obiettivi che intendete raggiungere (danno biologico, demansionamento, reintegra nel posto di lavoro, patteggiamento, risarcimento dei danni, etc.) e le strade da percorrere.
· Coinvolgete il minor numero di persone: possibilmente solo la vostra azienda. In questo modo il vostro avvocato non si troverà a dover lottare contro eserciti di avvocati di controparte che si coalizzeranno contro di voi. Successivamente potrete procedere anche contro gli autori materiali del vostro mobbing: ad esempio, in caso di pubblici dipendenti, sarà possibile documentare il danno all'erario determinato dai vostri mobbers.