Chi scrive ha una storia lavorativa che nasce nel 1996. Prima semplice collaboratore, poi impiegato, infine capoufficio in una piccola azienda.
Ma la mia esperienza lavorativa ormai è alle spalle, il mobbing che ho subìto ha avuto la conseguenza di farmi perdere il posto di lavoro, ed anche la salute.
Questo blog rappresenta soprattutto un diario, molto parziale, di ciò che mi è capitato.
In esso potrete trovare anche notizie interessanti, informazioni utili, consigli, ma nè questo blog nè altri possono sostituire il supporto di un avvocato specializzato in diritto del lavoro, oppure di uno psicologo. Il mio invito a quanti subiscono una situazione di disagio sul posto di lavoro è comunque quello innanzitutto di confrontarsi con altre persone che soffrono o hanno sofferto lo stesso problema: oggi lo si può fare molto facilmente anche attraverso Facebook, dove esistono - e sono purtroppo molto frequentati - gruppi che affrontano questa tematica.
Invito tutti i lettori a lasciare un commento, anche in forma anonima: più se ne parla, meglio è!

martedì 15 marzo 2011

Mobbing sul lavoro, come difendersi

La Dott.ssa Francesca Di Battista, Psicologa del Lavoro, intervistata da PMI Servizi ci informa su cosa è  il mobbingcome difendersi e quale il rapporto tra stress lavoro correlato e mobbing.

 

Che cos’è il mobbing?

La parola “mobbing” deriva dal verbo inglese to mob, che significa accerchiare, circondare, assediare, attaccare, assalire in massa qualcosa o a qualcuno. L’etologo Konrad Lorenz utilizza questa espressione nei suoi studi per indicare il comportamento di alcuni animali della stessa specie che si coalizzano contro un membro del gruppo attaccandolo ed escludendolo dalla comunità di appartenenza.
Negli anni Ottanta, lo psichiatra e psicologo del lavoro tedesco, svedese d’adozione, Heinz Leymann applica per la prima volta il termine coniato da Lorenz all’ambito lavorativo in seguito ad aver osservato alcuni operai e impiegati svedesi vessati psicologicamente sul luogo di lavoro. Egli considera il conflitto il presupposto fondamentale per la nascita del mobbing. Poiché il conflitto è caratterizzato dalla divergenza di opinioni ed ogni parte è convinta dell’esattezza delle proprie e non intende scendere a compromessi, è facile intuire come dal conflitto al mobbing il passo sia abbastanza breve. Ege evidenzia, invece, come tale fenomeno consista essenzialmente in un problema di comunicazione, in un conflitto routinario e in un atteggiamento ostile nei confronti di una o più persone dovuti a sentimenti di rivalsa da parte del mobber verso il mobbizzato. L’Associazione tedesca contro lo Stress Psico-sociale ed il mobbing, fondata nel 1993, ha fornito una definizione ufficiale del fenomeno del mobbing, secondo la quale esso consisterebbe in una “comunicazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti nella quale la persona attaccata viene posta in una posizione di debolezza e aggredita direttamente o/e per lungo tempo con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro”. Questa definizione sottolinea gli aspetti legati a una forma negativa di comunicazione tipica dei luoghi di lavoro che prevedono la convivenza obbligatoria e forzata con soggetti non scelti, ma imposti dall’organizzazione lavorativa. Negli ultimi anni il termine mobbing viene utilizzato abitualmente per indicare quelle forme di violenza psicologica attuata sul posto di lavoro, caratterizzate da comportamenti violenti e oppressori ripetuti nel tempo.
Tra le condotte riconducibili al fenomeno del mobbing si identificano: isolamento, critica,  diffamazione, derisione, affidamento di compiti declassanti, spostamento da un ufficio ad un altro, esclusione dalla comunicazione organizzativa, violenza e molestie sessuali.

 

Come identificarlo?

Si possono individuare tre criteri basilari che rappresentano gli elementi identificativi del mobbing:
  1. Intenzionalità dell’attività vessatoria e percezione del mobbing;
  2. Carattere asimmetrico della relazione di potere tra l’aggressore (mobber) e la vittima (mobbizzato);
  3. Frequenza e durata delle azioni negative.
Nell’esperienza negativa del mobbing, le vittime sembrano attribuire la causa della loro sofferenza a fattori esterni come ad esempio la personalità sadica dell’aggressore, e dunque la sua effettiva intenzione nel colpirle. Considerando però che il mobbing consiste nel susseguirsi di azioni negative che permangono nel tempo, è difficile pensare che non vi sia l’effettiva intenzione dell’aggressore di creare nocumento.
Per quanto concerne la relazione che intercorre tra gli attori del mobbing è stata posta molta enfasi sulla relazione tra superiore e subordinato considerando le situazioni in cui la vittima percepisce di essere inferiore all’aggressore e di non potersi difendere. Il potere, cioè la capacità di produrre un cambiamento negli altri, è una condizione fondamentale nel funzionamento dell’organizzazione e conseguenti disuguaglianze di potere sono inevitabili.
Riguardo alla frequenza del fenomeno, condizioni di conflitto “momentanee” non sono indicative, ma situazioni in cui i comportamenti vessatori sono all’ordine del giorno e di significativa intensità, determinano un’insostenibilità psicologica che può condurre ad un cedimento psico-fisico del soggetto mobbizzato.

 

Quali sono le cause?

Tra le determinanti del fenomeno del mobbing si individuano tre aree di indagine: personalità dei soggetti interessati, dinamiche di gruppo contesto organizzativo.
Considerando i tratti di personalità si presuppone che le persone siano a priori destinate ad essere dei mobber o dei mobbizzati sulla base delle proprie caratteristiche, indipendentemente dalla specifica situazione. In particolare, le principali categorie di vittime più frequentemente riscontrate dalla Clinica del Lavoro di Milano sono:
  • “i creativi”. Propositivi, innovatori, brillanti, spiccano nel proprio gruppo di lavoro caratterizzato da  valori medi di capacità. Essi possono divenire obiettivi da colpire da parte dei colleghi (mobbing emozionale o orizzontale);
  • “gli onesti”. Soggetti operanti in gruppi molto uniti in cui chi non è complice può essere escluso o emarginato dagli altri (fenomeno tipico nelle manifestazioni di disonestà sul posto di lavoro);
  • “i disabili”. Persone deboli e facilmente escluse e ghettizzate.
  • “i superflui”. Categoria che si costituisce in occasione di fusioni tra aziende, accorpamenti, riorganizzazioni. In questi casi, il mobbing si configura come una strategia di “alleggerimento” del personale (mobbing pianificato dai vertici aziendali)
Un’altra tipologia di soggetti divenuta attualmente “a rischio” sono coloro che hanno un’elevata anzianità lavorativa e, pertanto, hanno un costo più elevato rispetto a risorse più giovani.
Per quanto concerne le dinamiche di gruppo è argomento controverso stabilire quali possano essere i fattori scatenanti dell’emarginazione. L’elemento considerato il più probabile consiste nella diversità del soggetto emarginato dal resto del gruppo. Accade, infatti, che nel contesto lavorativo si costituisca una piccola comunità coesa e chi si discosta da questa può esserne escluso. La figura considerata “il capro espiatorio” possiede perciò caratteristiche comportamentali “devianti” rispetto al gruppo, tali da considerarlo un bersaglio, una “valvola di sfogo”.
Riguardo al fattore organizzativo, invece, le principali determinanti del mobbing riscontrate sono: comportamento inefficace della leadership, carenze nell’organizzazione del lavoro, cattivo clima aziendale. Una leadership autoritaria e accentratrice, fondata sulla critica, sulla supervisione esasperata ed orientata ad una logica di “premi e punizioni”, può favorire un clima sociale poco sereno caratterizzato da competizione e invidia. La leadership dovrebbe, infatti, ricoprire un ruolo di supervisione nel controllare che siano rispettate le regole in vigore nell’ambiente di lavoro sorvegliando, riconoscendo e risolvendo tempestivamente i conflitti. Non ottemperando a questo dovere promuove volutamente o inconsapevolmente l’escalation del conflitto nella direzione del mobbing. Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, l’Inail (allegato 1 alla circ. n. 71/2003) riconosce quadri patologici ricollegabili a “fattori di costrittività” dell’organizzazione, rappresentati da:
  • Demansionamento, mancanza di adeguati strumenti di lavoro, trasferimenti ingiustificati ripetuti;
  • Attribuzione di compiti declassanti rispetto al proprio ruolo professionale;
  • Prolungata attribuzione di compiti eccessivi che il lavoratore non è in grado di svolgere anche in relazione ad eventuali handicap psico-fisici;
  • Difficoltà o impossibilità all’accesso di notizie;
  • Fornitura di informazioni inadeguate all’ordinaria attività di lavoro;
  • Ripetuta estromissione del lavoratore rispetto ad iniziative qualificanti, formative e di aggiornamento professionale;
  • Forme di controllo esasperate e superflue.

 

Come difendersi?

La vittima di mobbing mette in atto dei tentativi di fronteggiamento (coping) per difendersi dagli attacchi subiti. Tali strategie di coping attuate dai mobbizzati per affrontare le situazioni di disagio vissute sul lavoro sono:
  • Manifestazione di una forte riduzione del livello di commitment nei confronti del proprio lavoro (abbandono);
  • Strategie di problem solving attivo quali il confronto con i diretti responsabili del loro disagio, o ricerca di conforto e appoggio da colleghi e/o familiari (dialogo);
  • Strategie di problem solving passivo, proseguendo con il lavoro con devozione verso l’organizzazione sperando nell’aiuto del management (fedeltà);
  • Abbandono del posto di lavoro (uscita).
Tali strategie sono tendenzialmente messe in atto con questa successione, poiché le vittime intraprendono un complesso percorso di tentativi diversi per risolvere il problema, dove la scelta di abbandonare il posto di lavoro rappresenta solo “l’ultima spiaggia”.

 

Qual è il rapporto tra stress lavoro correlato e mobbing?

Il tema specifico delle molestie e della violenza tipiche del mobbing sul posto di lavoro non è oggetto dell’accordo europeo sullo stress lavoro correlato siglato dal sindacato europeo e dalle associazioni datoriali europee in data 8 Ottobre 2004 (recepito in Italia il 9 Giugno 2008). Tuttavia appare evidente che molte delle dinamiche messe in atto per esercitare maltrattamenti morali sono analoghe ai fattori di stress presenti in organizzazioni inadeguate, anche senza una precisa volontarietà lesiva.
Le condizioni lavorative che causano stress lavoro correlato sono in grado di rendere l’ambiente di lavoro un focolaio in cui possono prender vita fenomeni di mobbing. Di conseguenza, valutare e tenere sotto controllo tutti i possibili stressors legati al contesto organizzativo ed ai rapporti interpersonali sul lavoro, è fondamentale per creare un ambiente che scoraggi l’esercizio di forme di violenza di natura volontaria.

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